I capelli corti e scuri con la riga al lato, un’onda che passa sulla fronte, uno dei tanti pensieri che la affollano e non si fermano mai.
Ma fluttuano ininterrottamente.
Maryam Mirzakhani nasce a Teheran, la scuola era vicina ad una strada piena di librerie, dove lei entrava e si perdeva. Comprava quanti più libri possibile, mossa da una curiosità insaziabile di sapere, conoscere, sondare. Diventa una matematica, la più brava della sua generazione, tanto da vincere nel 2014 la medaglia Fields, unica donna a ricevere questa onorificenza.
“Mi piace oltrepassare i confini immaginari che le persone stabiliscono tra campi diversi: è molto rinfrescante” diceva mentre nuotava tra le onde di quei pensieri infiniti, in cui doveva perdersi per ritrovarsi. Scarabocchiava piccole figure all’infinito vicino alle sue formule matematiche, la aiutavano a rimanere concentrata. Le sue non erano semplici formule, erano quasi dipinti, così li descriveva sua figlia Anahita. Si definiva una pensatrice lenta, rallentare le conferiva un ritmo incessabile, un moto perpetuo, un flusso continuo.
Il marito Jan Vondrak, per spiegare quel ritmo raccontò di quando andarono a correre insieme per la prima volta “Io ero in forma, lei gracile. Così all’inizio io ero in testa. Ma un’ora dopo mi ero fermato. Lei invece continuava a correre, alla stessa velocità”. Lei ricordava sempre che "devi spendere un po' di energia e impegno per vedere la bellezza della matematica", quasi fosse un viaggio la sua ricerca.
Il suo universo gravitava intorno alla geometria iperbolica, alla teoria ergodica e geometria simplettica.
Era tutto un perdersi per trovare la via per il ritorno. A chi le chiedeva come faceva ad elaborare le sue dimostrazioni così brillanti, rispondeva “È come perdersi in una giungla e cercare di utilizzare tutta la conoscenza che puoi raccogliere per inventare nuovi trucchi e, con un po' di fortuna, puoi potrebbe trovare una via d'uscita”.
Il dottorato lo fa ad Harvard sotto la supervisione di Curtis McMullen, anche lui medaglia Fields, che di lei disse “Aveva una sorta di immaginazione audace. Formulava nella sua mente un quadro immaginario di ciò che stava accadendo, poi veniva nel mio ufficio e lo descriveva. Alla fine si girava verso di me e diceva: "È giusto?" Sono sempre stato molto lusingato che lei pensasse che lo sapessi”. Con il futuro negli occhi rifiuta una borsa di studio ad Harvard e subito dopo le offrono la Clay Research fellowship diventando assistente professore di matematica all'Università di Princeton.
Ebbe così il dono più importante per lei: il tempo di indugiare in quel flusso continuo di pensieri “La borsa di studio Clay è stata una grande opportunità per me; ho trascorso la maggior parte del mio tempo a Princeton ed è stata una bellissima esperienza. La Clay Fellowship mi ha dato la libertà di pensare a problemi più difficili, viaggiare liberamente e parlare con altri matematici. Sono un pensatore lento e devo dedicare molto tempo prima di poter ripulire le mie idee e fare progressi. Quindi apprezzo davvero il fatto di non aver dovuto scrivere il mio lavoro in fretta”.
Quel tempo lento di cui aveva bisogno si è interrotto troppo presto. Maryam Mirzakhani muore ad appena 40 anni. Ralph L Cohen ricordandola disse “…Maryam incarnava ciò che significa essere un matematico o uno scienziato: il tentativo di risolvere un problema che non era stato risolto prima, o di capire qualcosa che non era stato compreso prima. Ciò è guidato da una profonda curiosità intellettuale e c’è grande gioia e soddisfazione per ogni piccolo successo. Maryam aveva uno dei più grandi intelletti del nostro tempo ed era una persona meravigliosa”.