Il piccolo porto che fino a un mese fa ospitava le grandi imbarcazioni, motoscafi e yacht, è vuoto. Non è tempo di improvvisarsi navigatori.
Le piccole barche dei pescatori sono ormeggiate nel porto più recente, opera dell’uomo contro la furia del mare. Solo un caicco resta attraccato, solitario ricorda approdi e viaggi. Speranze e disperazioni. Ora che è autunno, con le piogge e le onde che si ingrossano ad ogni vento freddo, non serve solcare i mari per prendere il sole. Si è già su altre destinazioni.
I pescatori attendono l’ora giusta per prendere il largo, cercare pesce da far abboccare all’amo.
La furia del mare dei giorni passati ha divelto passatoie improvvisate, ha ripulito i fondali restituendo solo in parte ciò che l’incuria umana abbandona. Nel porto dalle acque limpide banchi di pesci nuotano allegramente cibandosi dei resti del pane raffermo che i bambini hanno dato in pasto alle anatre.
Ha un colore verde inconsueto questo mare. Il cielo nuvoloso, il sole che appare e scompare nascondendosi dietro bianchi cirri, rendono le acque a tratti cupe per poi farle tornare a risplendere. Basta poco alla natura per ricordare all’umano quanto inutile sia la sua voglia di sopraffazione. Oltre questa distesa d’acqua, altri mari conoscono il grigio delle minacciose portaerei.
Il vecchio pescatore sul molo, raccoglie il filo velocemente con il suo mulinello, appare un grosso pesce argenteo, con abile manualità lo libera dall’amo per lasciarlo in un secchio di acqua salata. Un gabbiano nel cielo compie una inconsueta danza per poi tuffarsi nel blu e riemergere con nel becco una sarda.
E tutto resta sospeso, i colori dominano spazio e tempo, prima che arrivi la pioggia.