Le nostre vite manipolate dalla rete. Sei parole con le quali il più grande filosofo vivente condensa la società odierna.
Persa in uno sciame di informazione che sottraggono pezzo dopo pezzo all’umanità la sua essenza così come la conosciamo. Il dio di questa nuova vita è la rete “Così i follower prendono parte a una eucarestia digitale. I social media assomigliano a una chiesa: il like è il loro amen. Lo sharing è la comunione. Il consumo è la salvezza” scrive Byung Chul-Han in Infocrazia edito da Einaudi e tradotto da Federica Buongiorno.
L’involuzione dal totalitarismo che già aveva minato le basi del pensiero libero e dell’essere umano padrone del suo destino, sta procedendo. “Il totalitarismo plasma una massa ubbidiente, che si sottopone a un capo. L'ideologia anima la massa, infonde in essa un'anima. Cosí Gustave Le Bon, ne La psicologia delle masse, parla di un'anima della massa, che ne uniforma l'agire. Il regime dell'informazione, invece, isola gli esseri umani. Persino quando si riuniscono, essi non costituiscono una massa, bensí sciami digitali che non seguono un capo, ma i loro influencer”.
Byung Chul-Han delinea l'inconscio digitale che prende forma quando “Big Data e Intelligenza Artificiale consentono al regime dell'informazione di condizionare il nostro comportamento a un livello posto al di sotto della soglia di coscienza. Il regime dell'informazione si appropria di quegli strati preriflessivi, pulsionali, emotivi del comportamento, che precedono le azioni coscienti. La sua psicopolitica basata sui dati s'insinua nel nostro comportamento senza che ci accorgiamo di questa intromissione”.
Il filosofo continua la sua disanima ad un mondo proiettato su se stesso dove l’altro non esiste più. “L'odierna crisi dell'agire comunicativo può essere ricondotta al meta-livello per cui l'altro è in sparizione. La scomparsa dell'altro implica la fine del discorso perché sottrae all'opinione la razionalità comunicativa. L'espulsione dell'altro rafforza la costrizione auto-propagandistica a indottrinare sé stessi con le proprie idee. Questo auto-indottrinamento produce bolle informatiche autistiche, che rendono più complesso l'agire comunicativo. Se la costrizione all'auto-propaganda si accresce, gli spazi discorsivi vengono progressivamente sostituiti da echo-chambers', nelle quali sento parlare soprattutto me stesso”.
Ribadisce l’importanza dell’ascolto come atto politico, che “unisce gli esseri umani in una comunità e li abilita al discorso: esso istituisce un noi. La democrazia è una comunità di ascoltatori. La comunicazione digitale, in quanto comunicazione senza comunità, annienta la politica dell'ascolto. Cosí, ascoltiamo soltanto noi stessi. Questa è la fine dell'agire comunicativo”. Siamo una umanità con una sola voce e ne siamo confortati. È questo il vero capolavoro della rete. Ha reso l’essere umano dormiente senza che se ne sia accorto, anzi dandogli l’illusione di essere pieno di opportunità che prima non aveva, connesso con il mondo, ricco di amici, informazioni, in un banchetto che non ha mai fine. In realtà come scrive Byung Chul-Han “Il rumore delle informazioni offusca i contorni dell'essere. La verità non fa rumore”.
Amen.