Poche pagine, pochi versi. Una poesia nuova che si affaccia in un orizzonte quotidiano, con sapienza, stile, fierezza. Versi come confessioni.
Il piccolo volume edito nel 2004 da Besa, è l’opera prima di Angelo Petrelli, elegia. “Angelo Petrelli riesce, riesce nel tentativo di non affrontare le tematiche dell’amore e del distacco senza essere scontato … riesce … a non essere affetto da giovanilismo del verso, e quindi a poter interloquire con la materia che si è scelta senza soccombere ad essa”, scrive nella prefazione Luciano Pagano, il cui testo critico è accompagnato da quello di Michelangelo Zizzi.
In Sabbia Petrelli scrive “Non ci sono più/ giorni,/ pavére il resto/ e pensare:/ a chi duole un uomo?/ Nemmeno a se stesso”. E scivola sul tempo questa poesia, scorre come granelli di sabbia in una clessidra.
Non è un lamento la poesia, è una presa di coscienza su ciò che si è e ciò che si è stati. C’è una lei, un amore, una visione, uno sguardo. C’è una ritrovata consapevolezza. Il tono non è doloroso ma tagliente.
“Mi sento così solo/ stasera – eppure/ non fa male, guardo/ una foto e si scalda/ in me quel tuo/ diafano occhio, …/ Sommessamente/ rimango e penso/ a quanto tempo/ sia passato, da/ quell’ultima volta,/ e capirla lontana/ mi basta – tocco/ quel volto rapito/ e mi sento per/ un attimo morto, e/ dentro di me non/ fa più freddo(,…)”.
Puntini di sospensione come a celare altre parole, emozioni, sensazioni, verità. Parentesi a contenere improbabili infiniti, come se dopo la virgola potesse ancora esserci tanto da stringere, delimitare, abbracciare. È una poesia di parole e di segni, di musica e silenzi, sfogo sentimentale esistenziale, umano, solidale.