Il soffio cresce, il buio è rotto a squarci, e l’ombra che tu mandi sulla fragile palizzata s’arriccia. Troppo tardi se vuoi esser te stessa!
Dalla palma tonfa il sorcio, il baleno è sulla miccia, sui lunghissimi cigli del tuo sguardo. Pochi versi per dipingere un quadro, per riprodurre una scena. Poche parole una accanto all’altra, le pause e la punteggiature per dare ritmo, senso. È poesia, è Eugenio Montale e la sua poesia “L'angosciante questione/ se sia a freddo o a caldo l'ispirazione/ non appartiene alla scienza termica./ Il raptus non produce, il vuoto non conduce,/ non c'è poesia al sorbetto o al girarrosto./ Si tratterà piuttosto di parole/ molto importune/ che hanno fretta di uscire/ dal forno o dal surgelante./ Il fatto non è importante. Appena fuori/ si guardano d'attorno e hanno l'aria di dirsi:/che sto a farci?”, ed ancora “Con orrore/ la poesia rifiuta/ le glosse degli scoliasti./ Ma non è certo che la troppo muta/ basti a se stessa/ o al trovarobe che in lei è inciampato/ senza sapere di esserne/ l'autore”. E la vita cosa è? “Il fatto è che la vita non si spiega/ né con la biologia/ né con la teologia./ La vita è molto lunga/ anche quando è corta/ come quella della farfalla -/ la vita è sempre prodiga/ anche quando la terra non produce nulla./ Furibonda è la lotta che si fa/ per renderla inutile e impossibile./ Non resta che il pescaggio nell'inconscio/ l'ultima farsa del nostro moribondo teatro./ Manderei ai lavori forzati o alla forca/ chi la professa o la subisce. È chiaro che l'ignaro/ è più che sufficiente per abbuiare il buio.”
Dissipa tu se lo vuoi questa debole vita che si lagna, come la spugna il frego effimero di una lavagna.