Con il caldo asfissiante che non dà tregua tre sono le alternative possibili, un tuffo al mare, trasferirsi in alta montagna, sparare il condizionatore.
Sì restare in città richiede una grande capacità, riuscire a sopravvivere. Tra le pareti di cemento, le strade senza alberi, l’asfalto rovente, le auto e gli scooter che sfrecciano per giungere presto alle mete ambite, chiudere la porta di casa alle proprie spalle e accendere un climatizzatore è quasi sentirsi padroni della temperatura. Posizionarsi sotto le alette ben direzionate, un ventaglio in mano, acqua ghiacciata a portata di mano, e poi un libro per regalare visioni di panorami irraggiungibili se non con la fantasia. Perché un buon libro può dare sollievo, curare l’anima, regalare emozioni, farci sentire parte di mondo condivisi e condivisibili. Leggere e non pensare che un blackout ha trasformato la dimora in un forno rovente, l’acqua non esce dal rubinetto per riempire la vasca o fare una doccia, sollievo temporaneo. Un buon libro può distrarci dai problemi quotidiani o momentanei e trasportarci in paesi sconosciuti, farci conoscere personaggi, persone, relazioni, verità, menzogne. Può indicarci strade per conoscere se stessi, gli altri, per non restare imprigionati in moderne gabbie per topi. Viaggiare con la mente, pinete, boschi, ghiacciai, castelli, città invisibili, e scoprire destini incrociati su sentieri di nidi di ragno, amori difficili sulla strada di San Giovanni.
Sopravvivere al caldo, senza mare, senza montagne, senza condizionatori, senza tutele, senza diritti, senza libertà, è attingere alla necessità di esistere. Se ad essere si impara, si impara anche a restare in vita. Sempre che non ci si trovi in un deserto senza acqua.