Il lungo stelo che sostiene la corolla bianca che iridescente sfuma nel rosa. Il verde brillante delle foglie che spuntano dalla sabbia.
È nel deserto più antico del mondo, in Namibia, che l’incantesimo si ripete.
Nulla è ineluttabile, neanche in un deserto arido da 80 milioni di anni e le piogge quando arrivano portano la meraviglia e l’incanto di una fioritura sconfinata. L’ultima volta è accaduto tre anni fa quando i gigli di Sandohof sono fioriti a milioni, 770 ettari di petali e foglie che di notte profumano l’aria sino al cielo.
Lo stupore porta via le parole, “Meravigliosa è la forza dei deserti d’Oriente fatti di pietre, di sabbia e di sole, dove anche l’uomo più gretto capisce la propria pochezza di fronte alla vastità del creato e agli abissi dell’eternità” riuscì a dire Dino Buzzati di questo incanto che rende piccoli e induce a credere al sogno, all’impossibile, ad uno spettacolo dalle probabilità risibili che eppure appare, si ripete, per ricordare la magia e l’incanto di ciò che vive tra cielo e terra. La meraviglia è qui, per chi sa vederla e cercarla, in una lingua di terra arsa dal sole di 2000 chilometri nella zona orientale dove continuano ad apparire i cerchi delle fate, anelli di erba Stipagrostis che circondano il nulla. Grandi sino a 12 metri appaiono, vivono nell’impossibilità di un deserto anche sino a 75 anni e poi scompaiono per riapparire altrove. Gli himba del nord del Paese credono sia l’impronta del Dio Mukuru che porta la pioggia e guarisce gli infermi, altri credano sia il respiro velenoso di un drago. La scienza ancora non ha una risposta. Può solo ammettere che accade.
Un fiore nel deserto e un cerchio di fata, memento di quanto tutto, anche se impossibile, accade.