Visioni d'insieme

Sweet black angel

Sweet black angel

Angela Davis negli anni ‘70 era docente di filosofia all’Ucla di Los Angeles e  Ronald Reagan diede l’ordine di licenziarla, perché comunista.

Il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon la definì una “pericolosa terrorista”.

L’Fbi la inserì nella classifica dei 50 maggiori ricercati d’America.

La contea di Santa Clara, in California l’ha processata per omicidio, rapimento e associazione a delinquere.

Tutto questo mentre lei combatteva per i diritti dei detenuti e la scarcerazione dei fratelli Soledad (cosa che riuscì a ottenere).

E alla fine una giuria composta da soli bianchi la assolse con formula piena da ogni accusa. 

Era nera. Era una black panther. Era donna. Metà del mondo la adorava per la sua mente lucida, per la sua capacità di non fermarsi mai, per le sue battaglie sempre dalla parte degli ultimi e degli oppressi. L’altra metà la perseguitava.

A fare da sottofondo a quegli anni incredibili, la ballata dei Rolling Stones a lei dedicata Sweet Black Angel.

Il suo nome non figura mai, ma si parla di lei “But the gal in danger. Yeah, de gal in chains, but she keep on pushin’, would ya take her place?”.

Ed è tutta lì la differenza tra lei e il resto del mondo. Lei c’era, lei era in carcere come tutti quelli che tra quelle sbarre ci erano finiti senza motivo. Lei era in ogni corteo, ha subito ogni ingiusta perquisizione, ogni assurda privazione che non veemenza e senza mai cedere ha combattuto. E l’unica domanda possibile è “prenderesti il suo posto?”.

“She's a sweet black angel, not a sweet black slave”. L’arma più potente nelle mani dell’oppressore è la mente dell’oppresso diceva dall’altro lato del mondo Steven Biko e la mente di Angela Davis non ha mai permesso alcun assoggettamento, neanche durante i sedici mesi di prigionia, gran parte dei quali passati in isolamento.

Era la metà del 1970, i Rolling Stones al gran completo erano a casa di Mick Jagger, nel suo studio di registrazione Stargroves. Iniziano a suonare, le note non sono una improvvisa illuminazione, più che altro fluttuavano nelle orecchie di Jagger e Richards dalle registrazioni dell’album precedente, Sticky Fingers. Tra il dicembre del 1971 e il gennaio del 1972 sovraincidono quella registrazione nei Sunset Sound Studios di Los Angeles. Jagger è la voce solista e suona l’armonica Keith Richards e Mick Taylor sono alla chitarra, Charlie Watts è alla batteria, Bill Wyman è al basso, Jimmy Miller alle percussioni e Richard "Didymus" Washington suona la marimba, donando al pezzo quel sapore da ballata caraibica.

Sweet Black Angel esce con Exile on Main St. e i Rolling Stones la suoneranno dal vivo solo una volta in tutta la loro carriera, il 24 giugno 1972 a Fort Worth.

Non conoscono personalmente Angela Davis ma canteranno le sue gesta sbeffeggiando una vecchia canzone razzista di metà Ottocento, Ten Little Niggers che a sua volta si rifà a Ten little Indians.

Non sono stati i primi a cantare di lei, non saranno gli ultimi. 

Ma quella melodia dolce, risuona e se le parole di James Baldwin, nella lunga lettera che le scrisse, erano, come sono, profetiche Sweet Black Angel deve risuonare. 

“Poiché viviamo in un'epoca in cui il silenzio non è solo criminale ma suicida, ho fatto più rumore che potevo” scriveva Baldwin. Era il 19 novembre 1970. 

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