Una crudele, intensa, passionale piccola donna che collezionava peluche e uomini e cucinava i suoi conigli domestici.
Dopo averli cresciuti e accarezzati come teneri bambini.
Elena Dmitrievna D’jakonova, per tutto il mondo Gala, è stata musa di quasi tutti i surrealisti della sua epoca, da Paul Eluard a Max Ernst, da Picasso a Desnos sino a Dalì.
Unica donna in un circolo di soli uomini, così come immortalato nel celebre dipinto di Ernst Au rendez-vous des amis del 1922, diciassette amici, reali e immaginari, su uno sfondo di cielo nero e abbaglianti montagne bianche. C’è Ernst seduto sulle gambe di Fedor Dostoevskj e poi Giorgio De Chirico, Louis Aragon, Robert Desnos, Paul Eluard e André Breton, Raffaello Sanzio e naturalmente lei, Gala, dipinta di spalle, con il volto girato per farsi ammirare, così come ha fatto per tutta la sua vita.
“La bellezza da sola non basta. Senza amore, tutto il resto è perduto, perduto, perduto, un insieme sgradevole di contrattempi e veleni ignobili e disgustosi. Non c’è vita senza amore. Ed io, mia piccola Gala, ti amo infinitamente. Non credo affatto alla vita, credo in te. Questo universo che è mio e che si mescola alla morte non può entrarci che con te. È fra le tue braccia che esisto. È dentro i tuoi occhi, fra i tuoi seni, fra le tue gambe che non mi spegnerò mai. Il resto, è solo una grande miseria che sogna solo di crollare. Sono incredibilmente triste e confuso. Ho abusato troppo della vita. E ti amo troppo, lo dico con ardore, con fede, di sogno in sogno, ho cambiato universo, sono passato nel tuo” scrisse il poeta Paul Eluard, il suo primo amore conosciuto in Svizzera, nel sanatorio di Clavadel dove entrambi si curarono dalla tubercolosi. Come una musa indirizzò il talento di lui verso la poesia, cancellando quel tragitto tracciato dai genitori che l’avrebbe portato a diventare un contabile. Lui si innamorò perdutamente, le dedicò gran parte delle sue poesie “Guardati nello specchio, e guarda gli occhi che amo, i seni che amo, il sesso che amo, le belle mani, ascolta come parli, mia unica amica, capisci perché comprendo solo il tuo linguaggio, perché ti lascio libera, e quale gioia ricavo dalla tua, perché ti voglio audace e forte e fatta a tua immagine e somiglianza, secondo la tua volontà che è anche la mia, e che si è meravigliosamente elevata, come la mia, sul nostro amore. Ti adoro e ti abbraccio dappertutto”. Si sposarono nel 1917 durante la guerra e lei scelse un abito verde, per spazzare via il nero della morte che la circondava e la polvere di un mondo in frantumi. Divenne presto musa di tutti: Man Ray, Robert Desnos, André Breton, Giorgio De Chirico.
Ma un solo uomo non poteva bastare per placare i suoi appetiti, fisici, emotivi, mentali. L’uomo della sua vita fu Salvador Dalì, ma tra lui e Paul ci fu Max Ernst. Poco più di una parentesi per lei. Una ossessione per lui. Appena quattro anni dopo aver detto sì a Paul, durante un viaggio in Germania fu l’inizio della fine. Paul doveva scegliere alcuni collage di Ernst per un suo libro, andò con Gala a trovare lui e sua moglie Louise Straus a Colonia.
Il poeta e il pittore divennero amici, trovarono nelle loro arti un terreno comune da coltivare. L’amicizia però si trasformò presto in un ménage à trois.
E non era lei ad essere messa nell’angolo.
Paul e Max si stimavano e stimolavano a vicenda e a vicenda desideravano Gala e il suo anticonformismo, il suo essere sempre sopra le righe, la sua innata capacità di dominare il mondo. Paul accettò tutto, anche questo pur di averla al suo fianco. Almeno sino all’arrivo di Salvador Dalì. Irruppe nella loro vita e il matrimonio naufragò. Eccessivo come lei, scrisse “Amo Gala più di mia madre, più di mio padre, più di Picasso e perfino più del denaro…Poteva essere la mia Gradiva (colei che avanza), la mia vittoria, la mia donna. Ma perché questo fosse possibile, bisognava che mi guarisse. Lei mi guarì, grazie alla potenza indomabile e insondabile del suo amore: la profondità di pensiero e la destrezza pratica di questo amore surclassarono i più ambiziosi metodi psicanalitici”.
Il grande Salvador Dalì si perse in questa piccola donna dal viso allungato come un’oliva, gli occhi scuri come la sua anima, le labbra strette in una calcolata alterigia e lo spirito indomito. Si fusero l’uno nell’altra al punto che lui iniziò a firmare i suoi quadri con entrambi i loro nomi. Erano un tutt’uno. Per lei comprò un castello.
“Avevo bisogno di offrire a Gala un caso più solennemente degno del nostro amore. Per questo le ho regalato una dimora costruita sui resti di un castello del XII secolo: l'antico castello di Púbol a La Bisbal, dove avrebbe regnato come una sovrana assoluta, fino al punto in cui avrei potuto visitarla solo su invito scritto da parte sua. Mi sono limitato al piacere di decorare i suoi soffitti in modo che quando alzava gli occhi, mi trovasse sempre nel suo cielo” scrisse nel 1973 in The Unspeakable confessions. Lei era il perno intorno al quale girava la sua vita. Paul Eluard quasi impazzì per l’amore perduto della sua “sacra bambina, sorella, amica amante, mio essere”. Si risposò, con Maria Benz, ma nel giorno del matrimonio dichiarò il suo amore eterno a Gala. Dalì osservava dall’alto del suo cielo d’estasi e d’amore gli ultimi affannosi tentativi di Eluard “Dovrei sfidarti a duello ma in quanto poeta, artista, poiché voglio sopravanzare la misura comune degli esseri ed elevarmi dal branco, ti giustifico e ti perdono caro Paul”.
E anche quando molti anni dopo cercò un corpo giovane sul quale posarsi, Amanda Lear, fu sempre Gala il suo faro. Quando lei morì tra le sue braccia, lui chiamò il re di Spagna per informarlo e poi si chiuse nel suo dolore, senza mangiare né bere, vietando a tutti di pronunciare il suo nome. Nel castello di Pùbol ora riposano entrambi nel mausoleo che lui fece costruire. Due tombe, una accanto all’altro con un cunicolo ad unirle. Per tenersi la mano per sempre.