Qual è il senso della disobbedienza civile oggi, dopo il fallimento di ogni tentativo che la storia ha narrato di far prevalere il bene?
Se Gandhi ha fallito, se Thoreau è rimasto inascoltato cosa resta, se resta, della loro eredità?
Goffredo Fofi nel suo Elogio della disobbedienza civile, edito nella nuova edizione da Nottetempo, ripercorre il movimento italiano, che si è sciolto al sole, perdendosi per strada catturato dai lustrini del consumismo e del consenso.
“Molti di loro sapevano una volta che uccidere le possibilità di intelligenza e di sensibilità presenti in ognuno non è meno grave che uccidere i corpi” scrive Fofi raccontando un processo sistematico che ha ridotto se non annullato la capacità degli italiani di essere una società civile e solidale. Traccia il secondo trentennio d’Italia, quello che va da Craxi a Berlusconi, quando “Una nuova classe di cui il popolo, invece che disgustarsi, è stato uno spavaldo adoratore”.
Oblubinati dal luccichio degli anni ’80-’00, i pacifisti e i non violenti hanno finito “per preoccuparsi più di sé che di coloro che andavano conquistati alle loro idee, attraverso le pratiche, e hanno cominciato molto presto a mettere al primo posto le proprie organizzazioni e il proprio benessere, perfino più intimo che materiale, spostando in secondo piano i loro fini, e cioè la loro azione all’interno di una società…e hanno finito, con i loro happening - incontri e convegni, marce, training, corsi) - per giustificare la lontananza, l’indifferenza di tanti che avrebbero potuto esser loro vicini, solidali”.
Come tanti prima di lui sostiene l’importanza delle ragioni di Antigone e di Creonte “È il nodo, in definitiva, del rapporto dell'individuo con lo Stato, che, oltre alla presenza di Stati particolarmente oppressivi, contempla la contemporanea importanza delle ragioni di Antigone e di quelle di Creonte: della irrinunciabilità, contro lo Stato che non li rispettasse, dei diritti-doveri che appartengono alla sfera della morale e dell'umanità e di cui ogni individuo dovrebbe essere partecipe e difensore; e dell'adesione dell'individuo a quel le leggi che, riguardando tutti, permettono nei fatti un'armonica convivenza, nel rispetto di re gole comuni stabilite con il concorso delle maggioranze pensanti e non manipolate, per il rispetto e la difesa degli interessi comuni. Anche se una "minoranza di uno" può e deve, se così ritiene, ribellarsi a una legge particolare”.
Quella minoranza che Fofi ci incita a sentire dentro di noi per opporsi all’ingiustizia, pur consapevoli di non poter cambiare il destino del mondo. E se è l’impazienza, come scrisse Camus, che porta al cambiamento, è in essa che Fofi vede uno spiraglio di speranza e salvezza. “Oggi più che mai occorre dimostrare nei fatti, non con le parole, pur sempre consolatrici, la nostra estrema impazienza”.