Svegliarsi quando la città dorme, attraversare le strade deserte e raggiungere l’antico forno in pietra.
Aspettare che la prima ‘cotta’ sia pronta. Ecco il pranzo della vigilia della Festa dell’Immacolata, la puccia con le olive. Piccola forma di pane di grano Senatore Cappello, acqua, olio e olive nere ‘cellina’ rigorosamente con nocciolo. E lievito madre. Rigorosamente.
Calda perché fresca, morbida, dalla crosta dura che nasconde lievitazione morbida. Semplice preparare le puccia quando ci si riuniva per fare il pane. La massa della puccia ha più acqua di quella del pane. Farina sì e lievito, acqua e filo d’olio, impasto da lavorare e crescere, poi le olive, tutto lasciato a riposare e lievitare in un recipiente in creta smaltato. Quando il forno è pronto e ha raggiunto la temperatura ideale le piccole pucce si preparano velocemente con le mani, si dà loro forma tondeggiante e si depositano sulla pietra rovente. E quando sono cotte ci si prepara a gustarle in purezza, ché condirle e addentarle potrebbe poi richiedere l’intervento urgente del dentista. Un nocciolo può far saltare un molare.
Nel giorno della vigilia dell’Immacolata, nel giorno dell’astinenza e digiuno per i praticanti cattolici, regina del pranzo e della cena, la puccia e qualche verde peperone per compiere un atto di devozione. Resta oggi la tradizione di quel pane con la crosta dura con le olive a dare un colore violaceo alla mollica, quel pane da consumare lentamente, separando i noccioli. Ci si prepara alla festa di domani, parenti ristretti a festeggiare, dopo un giorno di pucce, più ricche prelibatezze.