Tra le strade dei paesi e delle città le luminarie per Natale si accendono e brillano. Alberi coloratissimi sfavillano nel tramonto della sera.
È tempo di preparare i dolci della tradizione. Sì, gli ingredienti sono pronti. La farina di grano senatore cappello, le arance biologiche con la scorza edibile, l’Anisetta e l’olio extravergine di oliva, e il miele. L’apicoltore lo sa che per Natale la richiesta del prezioso oro si moltiplica. Tutto è pronto. Mancano solo loro, i nipoti, perché non è tradizione se non ci sono più generazioni intorno allo stesso tavolo.
Tavolo e mani a lavorare a dar forma alla pasta, sentire vecchie storie riemergere dalla memoria, affiorano ricordi di una nonna che raccontava la storia di sant’Alessio tutta in dialetto che non si è mai capito da dove giungesse in Salento. Oggi tra un ‘purceddruzzo’ e un ‘caranciolo’, le tendenze di tictoc.
Tradizione che si rinnova. Ma loro i dolci son sempre gli stessi, ricerca antica tramandata di madre in figlia, rose, cartellate, caranciuli, purceddruzzi e poi nuove forme anno dopo anno, stelline, cuori, invenzioni di artisti pasticceri, nipoti fantasiosi. Lungo lavorare, dall’unire gli ingredienti a dare forme usando fusi (strumento in legno che serviva a filare la lana) e ‘ricamarli’ su sporte (ceste in giunco). Tutto al calore di un fuoco che scoppietta. Riposeranno la notte i dolci, per poi finire in olio bollente e poi nel miele con lo zucchero.
Dorati, dolci, riempiono coppe, per passare i giorni di festa. Dovrebbero, ma come resistere, uno tira l’altro, bontà dopo bontà, irresistibili.