Sulle sponde del Mediterraneo, forse in Siria, nasce un albero forte, coriaceo, resistente. Si sviluppa sulle coste bagnate dal Mare Nostrum.
Dalla Grecia al Portogallo, sino all’Italia. La Sicilia è il suo primo approdo, poi sale sino in Puglia. La sua storia millenaria narra di leggende che si sono succedute nei secoli. Dalla sua nascita che secondo la mitologia greca trae origine dal corno di un toro colpito da un fulmine, alla dimora, nei secoli a venire, di streghe e fate sotto i suoi rami. Fu anche chiamato pane di San Giovanni perché durante i periodi di ascesi si narra che il santo si cibasse esclusivamente dei suoi frutti. Un albero che è sopravvissuto allo scorrere del tempo porta con sé la mappa verso un futuro più sostenibile.
Si arriva ad oggi con quattro amici che tolgono un po’ di polvere dai suoi rami e lo proiettano nel futuro.
Massimo Sabadini, stanco di lavorare per una multinazionale di oil and gas decide di voler creare qualcosa che non distruggesse sistematicamente il pianeta, chiama l’amico Giuseppe D’Alessandro esperto di marketing e un passato nell’azienda di famiglia la Dolci e Salati Preziosi. Insieme scrivono un annuncio su linkedin “Chi può aiutarci a creare il cioccolato del futuro?”, a rispondere è Riccardo Bottiroli, fondatore di Developead, azienda che ha supportato le start up che guardano al cibo del futuro (bevande vegetali, carni vegetali, cracker di insetti). All’incontro in un caffè milanese arriva con l’amico Massimo Brochetta che in Developeat aveva contribuito a sviluppare il primo hamburger vegetale italiano.
Puntano il dito contro il cioccolato, il cibo degli dei, il primo ingrediente al mondo per consumo di acqua, 24mila litri per ogni chilo, quasi il doppio della carne e il terzo per impronta carbonica principalmente a causa della sua logistica e sfruttamento delle terre. Responsabile ad oggi del 45% della deforestazione in Costa d’Avorio e Ghana (da dove provengono i 2⁄3 del cacao mondiale).
Scelgono come sua alternativa il frutto del carrubo e scoprono che rispetto al cioccolato tradizionale produce l’80% di anidride carbonica in meno e consuma il 90% di acqua in meno, ed inoltre contiene la metà degli zuccheri presenti nel cioccolato.
L’idea è quindi produrre un cioccolato senza cacao. Ne abbiamo parlato con Giuseppe D’Alessandro, uno dei quattro fondatori di Foreverland.
Il carrubo sostituirà mai il cacao?
È quello che vorremmo. Ha un gusto e una consistenza identica. Speriamo che i consumatori siano pronti ad accoglierlo, noi facciamo leva sulla sostenibilità della sua coltivazione e produzione e sull’aspetto salutare di questa pianta. Certo non vogliamo una sostituzione completa, non sarebbe giusto, ma affiancare il cioccolato di carrube al tradizionale fatto con il cacao, ridurrebbe l’impatto devastante che quest’ultimo ha sul pianeta.
Quando sarà possibile assaggiare il cioccolato di Foreverland?
Tra un mese sarà online la prima box di cioccolatini, poi in seguito punteremo a collocarlo in piccoli punti vendita.
In Puglia è una specie protetta, utilizzerete i carrubi siciliani (la Val di Noto detiene da sola l’80% della produzione nazionale) o pensate di piantarne di nuovi in Puglia?
Vogliamo ampliare la produzione qui in Puglia, è un albero molto presente sul territorio, e vogliamo che lo sia sempre di più. Potrebbe essere di sostegno a quei territori dove gli ulivi sono stati colpiti dalla Xylella.
Ma che sapore ha?
Identico a quello del cacao. Siamo partiti direttamente pensando al carrubo, il cioccolato dei poveri e dopo qualche test abbiamo visto che si prestava perfettamente.
Il carrubo ha salvato le popolazioni meridionali dalla fame durante i due conflitti mondiali, ora contribuirà a salvare il pianeta?
Noi lo speriamo. Questa piante è poco conosciuta e poco valorizzata, ma è super resistente, può dare tanto e in cambio chiede pochissimo.