Nel vecchio forno a legna, le pietre non conoscono da tempo il calore delle fascine di ulivo, un ragno disegna una tela intricata.
In un altro periodo quelle pietre avrebbero conservato il calore fino alla cottura del pane e delle frise. Prodotta dal grano o dall’orzo, la frisella abbonda sulle tavole, nei menu estivi, nelle diete mediterranee. Risolutiva più di un cibo precotto conservato nel congelatore.
Farina, lievito madre, acqua, sale, un impasto da lavorare a mano, lentamente, per poi produrre delle piccole strisce, unite all’estremità, degli anelli che si lasciano lievitare. La cottura in forno, quasi completa e poi ogni forma viene tagliata in due, una parte inferiore con il fondo piatto e una superiore con il dorso curvo che tornano nella fornace per cancellarne l’umidità. Ed in quel taglio la sapienza di abili mani che fanno scorrere le forme lungo un filo di spago, per ottenerne due metà non simmetriche da sottoporre ai palati che potranno scegliere, in base alla propria esperienza e preferenza, quale condire.
La frisa nasconde il suo sapore nella sua semplicità, basterà lasciarla in acqua fredda qualche minuto perché sia pronta a ricevere pomodoro, olio, origano, sale. Pietanza da gustare, nella gita al mare quale stupore nell’immergerla tra gli scogli e condirla con ciuffetti di alghe. In estate fresca e veloce, preparazione che non richiede ausili, in inverno un ricordo e un auspicio della bella stagione. Trionfo di colori, impossibile non trovarla nei menu dei locali pugliesi, nei panifici con gli antichi forni ancora in uso. Basta un poco d’acqua e il pranzo è servito. Anche la cena. Anche la merenda.