La Ford modello T nel 1913 era un’automobile per pochi, il costo elevato la rendeva un bene di lusso. Per costruirne una occorrevano dodici ore.
Ma in quello stesso anno le cose cambiarono, una grande rivoluzione segnò l’industria, l’introduzione della catena di montaggio. Era il 7 ottobre del 2013, per assemblare una Ford modello T bastavano meno di tre ore. Il prezzo dell’auto si abbassò da 900 a poco meno di 300 dollari.
Henry Ford cambiò il modello industriale, negli stabilimenti di Dearborn nel Michigan, la concezione del lavoro subì un mutamento. Gli operai non dovevano far altro che compiere alcuni gesti ripetitivi dedicandosi esclusivamente ad un pezzo dell’auto. La catena di montaggio era un ingranaggio perfetto, ognuno al suo posto, concentrati tutti nella ripetitività del movimento. Lo sapeva bene Charlie Chaplin che in Tempi moderni denunciava l’alienazione e le conseguenze psicologiche che il lavoro ripetitivo protratto per ore aveva sugli operai anticipando come la catena avrebbe portato l’uomo ad una nuova forma di schiavitù con i tempi dettati da un programma che non tiene conto delle esigenze umane.
Dalla catena di montaggio come sviluppo industriale si è passati a ben altri tipi di catena, dove lavoro e diritti sindacali non crescono più di pari passo ma registrano a volte l’inserimento della retromarcia. Le industrie sempre più informatizzate producono in quantità maggiori e in tempi minori, mentre gli operai vedono il loro compenso orario non corrispondere più ad un reale valore di mercato. La catena di montaggio dalle industrie si è spostata nella vita di ognuno di noi, dove routine e ripetizione del gesto ci accompagnano da mattina a sera, in un continuo susseguirsi di bulloni da avvitare e pezzi da assemblare.
Avremmo bisogno di una strada larga e niente intorno per camminare.