Le luci del molo illuminano l’imboccatura del porto vecchio, dove i pescherecci ondeggiano al ritmo del gioco del vento sul mare.
Un veliero ancorato sul molo di levante rilascia il vociare festoso dei bambini sottocoperta. Piccoli gruppi di pesci si alimentano all’ombra notturna delle barche sfiorando il fondale basso a due passi dal cemento.
Al centro del piccolo porto ciò che da lontano appare un’ anatra bianca nuota controcorrente. Chissà cosa ci fa da sola di notte al centro di un porto. Da dove viene e dove andrà, silenziosa, leggera piuma su specchio di mare. Non pesca, si lascia trasportare come una nuvola bianca magrittiana in un cielo azzurro nel primo meriggio. Piccoli gruppi di persone passeggiano lungo i moli, mascherina a coprire naso e bocca, distanze da rispettare, sulle pareti fotografie per riflettere. Due fratelli canna da pesca in mano litigano sulla postazione da tenere, lontani non vicini, non al mare quando si pesca, quando ogni pescatore agogna il silenzio. Come qualcuno il letto, mentre misura i passi, almeno diecimila in un giorno. Chissà l’anatra che non starnazza quanti passi fa in un giorno, quanti piccoli voli, quanti mari ha navigato oppure è sempre rimasta qui, in questa porzione di mondo nel porto accanto al castello Carlo V di Monopoli.
Va verso la riva dolcemente e più si avvicina e più anatra non è. Illusione tra luci e buio, tra correnti e onde, eccola avvicinarsi alla riva. Non è un anatra ma un boccione di plastica piegato su se stesso. Nella notte ancor di più la realtà non è quella che si vede. Chissà quante storie se tu avessi voce potresti raccontare, boccione. Nell’indecisione tra il prenderti per conferirti nella differenziata e lasciarti qui al tuo dolce vagare, guardare il cielo è atto liberatorio.