Per cinquant’anni ha fatto il pescatore. La prima volta che è salito su una barca nel freddo umido della notte, Gianni Comes aveva 13 anni.
Il mare a cui ha dato una vita di lavoro gli ha regalato uno sguardo profondo, che guarda oltre e una calma serafica che non gli fa rincorrere il tempo.
Da quando ha lasciato, remi, reti, nasse e tremagli, è il pittore poeta della sua Monopoli che per decenni “ho visto dal mare e da lì sembra una favola. Ogni cosa può essere una favola se vista con gli occhi giusti”.
Al poeta-pittore il mare gli ha insegnato tutto. Gli ha insegnato che “si gettano troppe cose, stiamo consumando troppe cose”. E così lui per anni ha raccolto tutto: tovaglie, coperte, tegole, asciugamani, funi delle barche, ombrelli, vecchi pantaloni e giacche. Recuperandoli e donandogli una nuova vita nei suoi quadri. “Ho sempre cercato di recuperare tutto” dice guardando il suo mare dai suoi quadri.
“Ognuno di loro ha una poetica, una sua storia, questo con una barca con due alberi simboleggia l’amore della famiglia che lasci a casa quando vai per mare. Il mare guarda la città da un’altra prospettiva, il mare osserva tutto”.
Questo mare che è essenziale come l’aria che respira.
Nella sua piccola bottega entrano dei bambini incuriositi dalle tante opere “dovete riflettere, dovete usare la fantasia. Siamo ormai troppo presi dalla tecnologia e non guardiamo più il cielo, le stelle. Così la mente si impoverisce”.
Guarda ancora i suoi quadri, in una c’è una finestra e un bambino che guarda attraverso “questo sono io. Mi ricordo quando mia madre affacciandosi non vedeva le finestre delle vicine aperte e non sentiva il profumo del cibo, mi dava un piatto di minestra e mi diceva di portarlo alla signora”. Ricordi di un tempo che quasi non esiste più.
Ogni quadro è un racconto di mille particolari, nel primo piano di un gozzo Comes sorride “la storia si sta capovolgendo, la cultura l’hanno portata loro, i gozzi li hanno inventati i saraceni”. Poi guarda il mare dove ha dipinto pure il vento “questo è un grecale è il contadino del mare, strappa la poseidonia dai fondali e la porta a riva”. Nei suoi quadri c’è tutta la sua storia che è impastata di acqua e salsedine.
“Noi viviamo in questa gabbia dorata, ci fanno vedere l’immensità delle cose ma siamo solamente poveretti che stiamo perdendo tutti i valori umani. Come disse il grande Pasolini ‘delle vostre parole ne faranno guadagno’ e l’hanno fatto. Il progresso va bene, ma l’umanità ci sta sfuggendo di mano”.
Dio o chi per lui sta cercando di dividerci, di farci del male, di farci annegare.
Ma Gianni Comes ha vissuto per mare, le lunghe notti a guardare le stelle, l’alba che arriva e placa le inquietudini, il mare in tempesta, la calma piatta. L’assenza di un orizzonte nel blu scuro della notte, la prima luce del giorno che ci ricorda che c’è ancora poesia in questo mondo. L’immensità del mare e sentirsi al contempo nel nulla e nel tutto. E poi il ritorno a casa, quando da lontano vedi la terra, senti nella mente gli odori di casa, le voci dei tuoi cari. E quando vivi così per tanti anni al centro del tuo essere si posa una chiarezza che non lascia spazio ad altro. “Ma la semplicità dove sta, cara? In quello che abbiamo dentro, non mettiamo più i valori umani. Noi abbiamo una ricchezza immensa che è essere umili, ma quando la usiamo? La spontaneità dell’amore e del vivere, non ci guardiamo, non sappiamo più come dialogare gli uni con gli altri, non sappiamo più come descriverci. Questo è il male della società”.