Mi chiedi se ho visto il mare in questa primavera anomala con l’acqua sabbiosa che scende copiosa, con l’erba alta lungo le strade deserte.
Mi chiedi se ho violato la quarantena, come se fosse una legge quando legge non è. Non vedo il cielo da 43 giorni e il mare da 44, solo porzioni di spazi dietro le finestre e un giardino in cui camminano chiocciole arrampicandosi su fasce di steli di fiori. Il limone sorride alle api gioiose. Oggi ho solo voglia di andare al mare, vedere il mare, toccare il mare. All’ora del meriggio il grigiore della giornata si illumina al grigiore della infinita distesa di acqua, oltre ci sono altre coste forse deserte ad essere lambite con altra ferocia. È scirocco dici. Lo so. Adriatico calmo, una lunga tavola grigia, e vorrei davvero fare un tuffo. Salire su un piccolo scoglio e lasciarmi andare. Il bar meta estiva di affollate giornate sbarrato come fosse inverno sui ghiacciai. Un gabbiano si allontana dalla costa attirato dal riflesso argenteo di un pesce a pelo d’acqua. Voglio la tua libertà, gabbiano, tu che non sottostai ad inutili dittature. Calma piatta, non si muove una foglia, ascolto acquerugiola giocare con gli alberi in fiore, riempire corolle, lasciarsi cadere, per terra, leggera, quasi inesistente come le ombre appiattite sotto il mio piede che sole non c’è. Un guanto di plastica abbandonato sullo scoglio mi riporta alla realtà, nel silenzio dei respiri della natura percepisco in lontananza l’arrivo di un treno che corre lungo i binari di una ferrovia parallela alla linea della costa. E poi una canzone, com’è profondo il mare, da una vecchia radio che una donna ascolta seduta sotto il portico vista mare. Vista pioggia.
È ora, mi tuffo.
Mi sveglio sul divano dove ho preso sonno, il libro di Italo Calvino, Il cavaliere inesistente attende che io lo rilegga.