Il paese è avvolto nel silenzio, l’ora della preghiera è già passata da tempo, l’uliveto è vuoto, come le strade. Nel giovedì santo gli altari della reposizione attendono i devoti.
Si è lavorato intensamente per prepararli, dopo la celebrazione dell’ultima cena. C’è un ordine da seguire per i fedeli che intendono visitarli e mai in numero pari. La chiesa madre ospita piante e fiori, moderne istallazioni che poco hanno in comune con le antiche tradizioni, quelle che si trasmettevano in linea retta, semi di grano o lenticchia o cicerchia lasciati germogliare e crescere al buio coperti da un secchio per poi essere scoperti nella loro ammaliante bianchezza nel giovedì prima di Pasqua. Coltivati al buio sì, dalle tenebre alla luce, sobri nella loro delicata esile presenza invitano alla contemplazione, a rimanere, restare, meditare prima che tutto si compia.
Il cielo riserva visioni di stelle dopo le nubi sabbiose che negli ultimi giorni hanno oscurato anche il sole. Percorrere le vie del paese sotto le luci fioche dei lampioni, croce, calvario, cappelle , installazioni e allestimenti. Fiori, piante, candele nell’oscurità, luce ancora dopo le tenebre. Pregano le poche anime ancora in giro, pregano per avere indulgenza. Se si chiudono gli occhi a volte pare di ascoltarle quelle richieste, rivolte all’onnipotente, come se pervadessero lo spazio e riempissero il vuoto, quel senso profondo di solitudine. E allora si resta ancora un po’, un minuto in più, per non far sentire solo nessuno. Nessuno.