Intorno al fuoco, che riscalda e affascina, ci si ferma. Le danze delle fiamme seducono gli sguardi, scintille disegnano inaspettate figure.
Nei quartieri e nella piazza centrale i falò richiamano alla convivialità. Giovinazzo, in provincia di Bari, l’intimo porto affacciato sull’Adriatico, si anima per la festa dei fuochi di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali e del fuoco. Le braci governate con sapienza, mentre intorno i tronchi attendono il proprio turno prima di trasformarsi in cenere. È una festa per Antonio Abate e per una comunità che si ritrova a danzare e a mangiare caprjéte, grosse fave cotte nei caratteristici tegami in terracotta, pegnatìdde, e poi olive verdi e vino rosso. Non mancano le braciole di carne equina. La tradizione si rinnova di anno in anno, il fuoco, il cibo e poi il ballo.
Una festa nei giorni freddi di gennaio per ricordare, qui, la gioia per la morte di Giulio Antonio Orsini principe di Taranto che aveva bombardato la città e distrutto gli oliveti. Profano e sacro che si incontrano, il calore per ricordare quello della comunità che si unisce per affrontare le difficoltà. In un tempo non troppo lontano le ceneri e le braci dei falò venivano distribuite alle famiglie ed una parte delle ceneri poi portata nei campi dai contadini come rito propiziatorio per la nuova stagione e i successivi raccolti.
Attorno alla legna che brucia, tutto è festa. Musica e tradizioni che si rinnovano. Riti che sopravvivono alla ‘scomparsa’, permangono come valore di una comunità.