Potrebbe arrivare in queste ore, palesarsi all’improvviso con un repentino cambio di vento, uno scirocco che si tramuta in una tramontana.
Potrebbe sorprendere i guidatori lungo le arterie principali, lasciare esterrefatti gli scooteristi cittadini e rallegrare qualche sparuto amante dell’inverno, di quella sensazione di freddo che penetra all’interno dei muscoli e fa battere i denti, piangere gli occhi e seccare la pelle del viso.
Ci vorrebbe la neve, come alcuni anni fa, risvegliarsi e scoprire aprendo la finestra uno strato bianco che tutto ricopre, le impronte di un gatto come misuratore di profondità. Godere del silenzio, in lontananza le grida dei bambini felici nel confezionare palle e pupazzi di neve. Carote per nasi, carbone per occhi, rami per braccia, sciarpe per il collo inesistente a coprire congiunture fra blocchi sferici di diverse dimensioni. Basta poco, silenzio e grida, ferme le auto nei garage, tutti fuori a giocare per le strade, nei cortili, le scuole chiuse, il sale mai sparso.
Neve bianca brillante prima che si sciolga che si trasformi in fango, leggera coperta su foglie, rami, tetti, vasi, mattoni, lampioni, muretti a secco. Il gatto rosso avanza lungo il viale cerca un po’ di spazio sotto una tettoia, lì dove la neve non si è posata e un raggio di sole riscalda una mattonella nell’angolo.
Aspettare la neve in un caldo inverno, attendere il freddo, sperare che occorra un piumino per uscire e scoprire infine che la neve per ora è solo un ricordo e un ardente desiderio.
Un gatto miagola una frase incomprensibile ad una lucertola impaurita.