Sopravvivere, tra la sabbia del deserto ed aspettare la voce del vento cantare una canzone nuova, che parli del rumore del mare di sale.
Sopravvivere, come un croco perduto in mezzo a un polveroso prato, aspettando la notte e il cielo stellato a portare silenzi di altri universi. Fermi immobili, esili eppure resistenti, piccoli fiori gialli si affacciano tra la sabbia invocano aria, acqua, elementi per vivere andare avanti, resistere. Ascoltare i granelli di arida terra rossa accarezzarsi tra loro, solleticarsi, con rapidi movimenti intensi quanto il vento consente, come gioco di accelerazioni e rallentamenti e restare poi immobili per giorni, il sole a togliere respiri inutili.
Il fiore del deserto non ha paura, il capo chinato come chi piega la testa per raccogliere energie per poi rialzarla fiera, come uno sguardo che insicuro diviene deciso e non ammette repliche, lasciando un segno, un solco, preciso. Circondato dal calore lui, il piccolo fiore non teme lo scorrere del tempo, consapevole della sua esistenza dona bellezza, speranza, vita.
Nelle terre lontane fra le dune rosse, il piccolo fiore vive, come un tassello ad interrompere monotonie cromatiche. Sfiorarlo con la mano è gesto spontaneo, è ringraziarlo della sua presenza, della sua eleganza, è riconoscergli il potere di affermare la vita lì dove la si ritiene inimmaginabile.
Il piccolo fiore nel deserto è un regalo inaspettato che allevia ogni sofferenza, è promessa di felicità. Non coglierlo è l’unica ipotesi possibile, soffermarsi a contemplarlo è spazio di serenità.