Sognare di, in un mattino d’autunno, passeggiare a piedi nudi sulla calda sabbia delle dune che tentano invano di arginare la forza del mare.
Le onde sospinte dal vento erodono la fascia costiera, sottraggono granello dopo granello polvere gialla, riducono lo spazio tra l’azzurro e la terra.
“Lo chiamiamo granello di sabbia./ Ma lui non chiama se stesso né granello, né sabbia. / Fa a meno di nome/ generale, individuale,/ instabile, stabile,/ scorretto o corretto./ Non gli importa del nostro sguardo, del tocco/ Non si sente guardato e toccato./ E che sia caduto sul davanzale/ è solo un’avventura nostra, non sua./ Per lui è come cadere su una cosa qualunque,/ senza la certezza di essere già caduto/ o di cadere ancora”, ma per Wislawa Szymborska era sabbia di lago, delimitato. Su questa costa invece lo sguardo si perde oltre la linea dell’orizzonte pur restando il mare “un solo lungo lato blu e anche lo sguardo più allenato non può vederne mai di più” cantava Fiorella Mannoia su un testo di Daniele Silvestri.
Impossibile resistere al piacere di lasciare le proprie orme lungo una linea che segue l’andamento sinuoso della spiaggia. Ritornano le parole di Alessandro Baricco “Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia, e loro restano lì, precise, ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un’orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte. La marea nasconde. È come se non fosse mai passato nessuno. È come se noi non fossimo mai esistiti. Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera. È tempo. Tempo che passa. E basta”.
La sabbia sotto i piedi solletica e si diverte ad insinuarsi tra le dita, scandendo come in una clessidra il tempo. Fermarlo è possibile? Non capovolgendo quella stessa clessidra e lasciando che le dune combattano le loro battaglie, contro il vento, il mare, il passo. La linea d’orizzonte si allontana come i pensieri.