Le donne saranno sempre divise le une dalle altre? Non formeranno mai un corpo unico?
Una domanda che frullò nella mente di Olympe de Gouges attivista della rivoluzione francese e femminista ante litteram 230 anni.
E da questa domanda Carla Lonzi, con Carla Accardi conosciuta ai tempi di Autoritratto (13 colloqui con artisti italiani e internazionali che montò a Minneapolis) ed Elvira Banotti stilarono il loro Manifesto di rivolta femminista affisso sui muri di Roma nell’estate del 1970.
“La donna è altro rispetto all’uomo. L’uomo è altro rispetto alla donna. L’uguaglianza è un tentativo ideologico per asservire la donna a più alti livelli” è l’assunto del manifesto che arriva due anni dopo il ’68 e quelle proteste studentesche che videro una larga ma non ancora paritaria partecipazione femminile. A Villa Giulia un terzo delle persone arrestate furono donne, ma l’asimmetria della società era ancora tutta lì, cresceva e si moltiplicava ad ogni nuova generazione.
“Sul mio corpo passano tutte le tempeste, non c’è cosa che io non capisca a mie spese” scrive Lonzi che nasce come critica d’arte ma abbandona presto il lavoro a favore dell’impegno femminista.
Si batte per il divorzio, la parità sul posto di lavoro, la riforma del diritto di famiglia, l’aborto, l’istituzione dei consultori familiari, l’abolizione del delitto d’onore.
Rivolta Femminile mette in discussione tutto, la storia, la cultura, le grandi menti su cui si è poggiato il Novecento: Marx, Hegel, Freud.
Suo è il motto “il personale è politico”. Lonzi combatte sinché il corpo glielo permette. Lascia a noi i suoi scritti, attuali oggi come ieri.
“Nella cocente realtà di un universo che non ha mai svelato i suoi segreti, noi togliamo molto del credito dato agli accanimenti della cultura. Vogliamo essere all'altezza di un universo senza risposte. Noi cerchiamo l'autenticità del gesto di rivolta e non la sacrificheremo né all'organizzazione né al proselitismo”.