Un’arte selvaggia, libera eppure rigorosa, meticolosa. Figure e segni riempiono il vuoto, elemento dell’opera.
Radice imprescindibile, catalana. Joan Miró non appartiene ad alcuna categoria, lui crea un linguaggio nuovo, traspone la fantasia e la creatività dell’inconscio sulla tela svelando a tutti ciò che abbiamo dentro.
Nasce a Barcellona nel 1893, conoscerà due guerre mondiali e nel mezzo una sanguinosa guerra civile. Mirò ama i colori, osservare il cielo e le stelle, lo spazio infinito, il vuoto. Sperimenta e ricerca, la sua arte muta col passare del tempo, con l’approfondimento e la conoscenza. Dai nudi ai ritratti, dai paesaggi agli oggetti, l’artista catalano offre una visione diversa dell’arte, più enigmatica forse, eppure chiaramente lungimirante. Dalla Fattoria a Il Carnevale di Arlecchino, il salto è evidente. Il primo, nel quale le dimensioni spaziali sono determinate dalla loro importanza simbolica, è un racconto di mille dettagli e sarà acquistato, perché ci ritrovava il paesaggio e la mentalità della Catalogna, da Ernest Hemingway per donarlo alla moglie. Il secondo è animato da mostri buffi, sogni e visioni si intrecciano sulla tela, dove tutto è fantasia, creatività.
Nella serie Fondo blu lo sfondo è un blu oltremarino intenso e nuovo che domina la scena. È l’immenso oltre il cielo dove le figure sono linee e macchie di colore, sogno.
Mirò ha attraversato il mondo artistico, lo ha segnato, ne ha anticipato tendenze, ha lanciato gridi di ribellione. Come in Maggio 1968, dedicato alle rivolte studentesche, dove il colore è lanciato contro la tela finita. Distruzione.
Sovvertimento. Superamento. Mobilità. Sogno. Immaginazione. Joan Mirò.