Con i versi, le parole hanno un suono nuovo, suggeriscono impressioni, realizzano visioni, raccontano un passato ed è come averlo vissuto.
Il ritmo, la musicalità, gli accenti, rendono le poesie immagini che si animano nelle pagine, attraversano la vista e si completano con gli altri sensi lasciando impronte indelebili. Rebecca Garbin in Male minore, Vallecchi Poesia (collana diretta da Isabella Leardini), ci introduce, prima in prosa e poi in versi, nella sua famiglia, nelle abitazioni, nei luoghi, nel passato, nei giochi della mente. Una raccolta che rimanda con le citazioni ad altri mondi, paralleli, significativi, un prendere per ridare e non sorprende che ci sia Claudia Ruggeri e il suo Inferno minore, “ecco, chiediti, come il pensiero sia colpa”.
“Ci sono dei rosari che spaccano le labbra/ e fanno crepe dentro ai muri. Mia madre parla ancora con gli spiriti/ ricuce le ciglia dei morti. Non serve consultarsi per capire/ tutto quello che lasciamo alla paura./ Io ti brulico nel sangue, ti sbatto nelle ossa/ qualcosa si spezza e trapassa le tempie/ lo senti ogni tanto e non sai che cos’è./ poi c’è il sale che non chiude le ferite,/ il latte di mia madre diluito con l’ortica”.
È un racconto, quello di Rebecca Garbin, parla di cose e di case, di morte e di spettri, le storie della famiglia, e i nomi assumono una identità, una voce, quasi un richiamo.
“L’urlo dei denti, uno schiaffo non basta/ davanti allo specchio. Poi il segno sul braccio,/ staccare la crosta sperando che resti./ Cucirsi la bocca stringendo i capelli tra i denti/ – anche il tempo è materia che stringe lo scheletro –/ e non mangiare nient’altro. È così che passo/ da un buco di serratura a un altro./ Per fortuna non restano lividi, ho strati diversi di pelle/ e ogni corpo mi cambia la forma, la faccia./ ogni cosa si trasforma – non posso/ diventare qualcos’altro controvoglia”.
“In questo esordio, che è una pietra dura sotto il riflesso dell’acqua, si nasconde una forte dimensione politica: il Male minore è la malattia della mente, materia oscura che trascina sul fondo la forza vitale. La voce di Rebecca Garbin è monito e sentenza, anche a nome di altri osa chiedere di immaginare”, scrive Isabella Leardini.