Si apre il sipario. I drappi rossi si inchinano a quella figura alta e snella, dai movimenti quasi impercettibili.
Tutto è concentrato nella voce che quasi biascica più che cantare. Lenta, suadente. I suoi sono monologhi, patter-songs. Con un assoluto candore canta parole licenziose, quasi volgari. Parla di amore, vissuto e perduto. Incanta tutti e per una volta, non con la bellezza.
“Ho voluto soprattutto e prima di tutto apparire distintissima, per potermi permettere qualsiasi audacia nel mio repertorio”.
Prima che lo facessero altri, Yvette Guilbert stila l’elenco dei suoi difetti estetici e li mette nero su bianco nelle sue memorie: troppo magra, seno nullo, naso grande, braccia lunghe, carnagione pallida, testa piccola come gli occhi e labbra sottili. Ma in compenso ha un gran sorriso e una schiena superba che mostrava nella sua interezza con scollature profonde che catturavano e rapivano gli artisti. Su tutti Henri Toulouse-Lautrec di cui è stata amica e musa. Lui la ritrae innumerevoli volte. Il suo profilo, la figura lunga e snella, le braccia ricoperte dagli immancabili guanti neri, la sua bocca dipinta sempre di rosso, punto focale di tutto il suo viso, “la mia bocca era il faro del mio viso, la trappola vincitrice della mia civetteria”.
Vestiva di verde Nilo d’inverno e di bianco d’estate, aveva spogliato la sua figura da ogni gioiello, adornandosi solo con fiori freschi e gli immancabili guanti neri che non erano un riferimento alla serie di acquarelli Pornocrates di Felicien Rops, quelle donne in reggicalze e guanti neri e lunghi a coprire le braccia, come erroneamente credeva Patrick Bade, ma erano un omaggio ai guanti di un professore che aveva amato.
La sua audacia era tutta in quel rossetto rosso, nei lunghi guanti neri e nella chioma rossa a richiamare le labbra. Della sua bruttezza ne fece un’arma. Rivolgendosi ad Oscar Wilde, trionfalmente gli chiese “non sono forse la donna più brutta di Francia” e lui superbo come sempre rispose “del mondo, madame, del mondo”.
Una donna aveva osato proclamare fieramente la sua bruttezza e a dispetto di essa, vincere ogni partita.
Fu il suo trionfo più grande.
“Quello che so è quello che sanno tutti gli esseri umani che hanno sofferto la povertà, l’amore, la malattia e tutte le lotte per vincere questi tre pericoli. Non ho tutte le virtù, né tutti i vizi umani, ma la mia sensibilità, il mio occhio da pittrice mi aiutano a indovinare quello che non so, e a rivelare tutto quello che conosco”.
Figlia di un rigattiere, a 16 anni lavorava nei magazzini Printemps e come una cenerentola di fine Ottocento fu salvata dal suo triste e misero destino da un principe italiano. A vent’anni conobbe Charles Zidler, il creatore del Moulin Rouge che la ingaggiò per una tournée estiva. Da quell’estate non scese più dal palco. La sua consacrazione avvenne il 5 ottobre del 1891 al Concert Parisien. Ventimila volantini furono distribuiti per le strade di Parigi.
Tutti si accorsero di lei, da Marcel Proust a Sigmund Freud che si infatuò di lei, della sua personalità artistica così fuori dagli schemi. Nonostante il successo, lei ripeteva teatralmente di volersi ritirare per “cantare solo per me stessa romanze tristi”.
Non si ritirò, ma fu fermata per sei anni da una malattia ai reni.
Anni durante i quali rispolverò il suo repertorio. Ora cantava vecchie canzoni medievali e i versi di Baudelaire e Verlaine tra nuvole di fumo sul palco della Carnegie Hall a New York. L’ennesimo incredibile successo.
Freud non perdeva occasione per assistere ai suoi concerti. Lei era l’unica a poterlo chiamare solo con il suo cognome, senza altri titoli o orpelli, per gentile concessione dello stesso padre della psicanalisi. Si scrissero per anni, lui rinnovando sempre la sua ammirazione, lei svelandogli angoli segreti del suo essere “La grande battaglia è quella della ricerca della felicità nella verità e le nostre follie sono solo la rabbia di trovare soltanto bugie! E’ stato il tormento della mia vita. La verità, la verità e ancora la verità. Volevo solo la verità e ho trovato solamente qualche verità qua e là, e duravano così poco”.