Zaha Hadid non ha mai saputo cosa fosse una linea retta, un angolo a 90, uno spigolo. Tutto ciò che ha immaginato è stato morbido e fluido.
E’ stata uno dei massimi esponenti della corrente decostruttivista, parlando, quando ancora in pochi lo facevano, di spazi fluidi e liquidi.
Quando le viene una idea non la disegna semplicemente, dipinge le sue visioni, altre volte striscia i disegni sulla fotocopiatrice per ottenerne una visione deformata. Le sue idee, i suoi progetti e i suoi quadri hanno sempre avuto un forte impatto, avveniristici e di una bellezza nuova, mai vista, tanto che il Guggenheim di New York li riunì in una retrospettiva. Le sue idee ancor prima di germogliare erano già arte.
Nasce a Baghdad in una famiglia ricca e liberale. A 11 anni decide di voler diventare un architetto. Così si laurea prima in Matematica nella sua città natale, poi vola a Londra per studiare architettura. Uno dei suoi insegnanti è il grande Rem Koolhaas che definisce quella giovane e determinata studentessa “un pianeta nella sua propria orbita”. Non piace a tutti, viene definita dai suoi critici l’architetto di carta, i suoi progetti spesso sono considerati irrealizzabili. Ma tutti ne intuiscono la grandezza e lo sguardo volto al futuro. Koolhaas per primo che dopo la laurea la chiama a lavorare nel suo studio di Rotterdam, l’Office for Metropolitan Architecture. Lei accetta ma a patto di diventarne socia. Così fu. Era il 1977, nel 1980 fonda il suo studio a Londra.
Negli anni sviluppa più di 50 progetti, alcuni dei quali mai realizzati come il Peak Club di Hong King e la Cardiff Bay Opera House. Solo nel 1991 vede finalmente realizzato un suo progetto, una stazione dei pompieri in Germania.
Ma questo è sempre stato un aspetto trascurabile per lei che ha sempre avuto la forza e la determinazione di portare a compimento una idea costi quel che costi. E se a volte, non era ancora arrivato il momento per una sua idea di trasformarsi realtà, lo diventerà nel prossimo progetto “con il tempo si finisce per accettare che non sempre si può portare una idea sino infondo, ma nel prossimo progetto si farà meglio” dirà lei che non si è fermata neanche di fronte alla sfida più difficile di tutta la sua carriera. Il ponte dello sceicco Zayed ad Abu Dhabi. Un’utopia di acciaio e cemento. I suoi occhi vedono le onde delle dune del deserto e la sua mente decide di ricreare quel movimento in un ponte lungo 842 metri con una geometria di archi in acciaio e pilastri in cemento armato che si staglia per 60 metri sopra il livello del mare con l’arco principale lungo ben 234 metri.
Ha una visione tutta sua del mondo che non fa rima con semplicità. Non piega mai le sue idee. Piuttosto piega le persone che la osteggiano, che continuano a dirle che non è possibile, che è troppo costoso, che è destinato a non star su. Ma “sapevo che c’era altro, che volevo altro. Una vita diversa” si diceva sin da bambina mentre cresceva in un grande palazzo di ispirazione Bauhaus.
Nel 2007 inizia la costruzione del centro culturale Heydar Aliyev di Baku in Azerbaigian. Un’altra visione, i suoi occhi questa volta immaginano la calligrafia islamica e quel senso armonioso e sensuale tipico della cultura azera. Così realizza una struttura di 57mila metri quadrati di calcestruzzo e poliestere vibro-rinforzati con fibra di vetro.
Sembrano una infinità di pieghe su una pelle dove la luce “scorre dall’interno sulle superfici esterne”, come disse lei stessa. Uno studio infinito se come ha rivelato la stessa Hadid “Ci abbiamo impiegato un anno intero a scegliere il punto giusto di grigio o beige o quello che è. Sembra bianco, ma non è bianco”.
La sua eredità è ovunque, in Italia e nel resto del mondo. Chi derideva quell’architetto di carta si è dovuto ricredere quando nel 2004 ha vinto il premio Pritzker (prima donna) e per due volte consecutive nel 2010 e nel 2011 il premio Stirling (il Nobel dell’architettura) rispettivamente per il Maxxi di Roma e la Evelyn Grace Academy di Londra.
Ha insegnato architettura in alcune delle più prestigiose facoltà del mondo, partendo da Harvard e dalla cattedra che fu di Kenzo Tange. Diventa membro del comitato di redazione dell’Enciclopedia britannica e viene inserita dal Time tra le 100 persone più influenti al mondo nel 2010.
Muore troppo presto a 65 anni per un attacco cardiaco, ma i 400 architetti del suo studio londinese sono ancora all’opera per realizzare quello che una donna proiettata sempre in avanti aveva immaginato anni fa. Il suo passato per noi deve ancora arrivare.