Se Andy Warhol potesse rinascere in un corpo di donna, sceglierebbe indiscutibilmente Olimpia Zagnoli.
In un primo momento sarebbe colpito da quei grandi occhiali tondi, in un secondo momento le chiederebbe di fare un giro sulla sua Vespa, lui che come pochi altri, conosceva il fascino di uno status symbol. Infine guarderebbe i suoi lavori e sceglierebbe lei. Per quelle forme geometriche essenziali, per quei colori netti, per quegli occhi che sanno vedere come una bambina e per il suo mettere se stessa ovunque, senza restrizioni di genere.
Come maestro ispiratore Olimpia sceglie Bruno Munari, uno che nell’arte ha fatto tutto: disegnare, scrivere, dipingere. Si è dedicato alla scultura, alla grafica, al cinema. Nulla poteva contenere il fiume in piena della sua creatività, esattamente come Olimpia che sta tappezzando il mondo con il suo tratto e le sue figure riconoscibili tra mille.
Sarà per la famiglia di artisti in cui è cresciuta, padre fotografo e madre pittrice, sarà perché nella sua Emilia ha studiato sul metodo Malaguzzi, quello che mette i bambini al centro del processo di apprendimento e insegna tramite arte, cucina, botanica, pasticciando, creando.
Così poco più che ventenne, sempre per quella impossibilità di contenere quel flusso creativo in un contesto piccolo e ristretto vola nella città più aperta che si conosce, New York.
Di lì è tutto un crescendo. OZ, proprio come il mago, vive nella sua città di smeraldo. Disegna per il The New York Times, il New Yorker, il Guardian, l’Internazionale, il Washington Post, il Wall Street Journal, Le Monde. Ha disegnato copertine per i Penguin Books e per Taschen.
I suoi disegni sono ovunque. In 468 fermate della metropolitana di New York, sui francobolli celebrativi della giornata del bacio, sui fazzoletti di carta, su tazze, scatole di latta di biscotti, sui cartoni degli spaghetti. E naturalmente su tele esposte nientemeno che al Guggenheim di New York.
Olimpia è ovunque. Con quel suo stile unico e inconfondibile. Nella scelta dei colori sempre netti e in contrasto tra loro, senza nessun condizionamento mentale, disegna figure femminili dalla pelle e i capelli turchesi, o capelli verdi che richiamano un prato su donne vestite di margherite. Pochissimi tratti, lo stretto indispensabile. E poi quegli occhiali enormi su visi in cui spuntano solo le labbra, rosse, rossissime. E lei, solo tre segni: un onda di “e” per i capelli, due cerchi rossi come occhiali e una virgola, sorriso appena accennato. Toglie tutto, e porta la fantasia al potere e soprattutto il colore, il suo vero tratto distintivo.
Mangia panini al salame e croccante all’amarena, beve caffè doppio, il suo artista preferito è Pablo Picasso, quello che disse “ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino”. E tutto torna. La semplicità come cifra distintiva e sempre quei colori: il verde, il fucsia, l’arancione, il giallo, il rosso, il viola. Lascia che i suoi disegni parlino per lei. E a chi le ha chiesto quale sia la parola che utilizza di più, lei ha risposto: “Ops!”