Quaderni, pagine, fogli, ritagli, buste, superfici da riempire con inchiostro lasciando versi, parole e segni, tanti come direzioni seguire.
Vie da intraprendere come accenti, linee forza su tele di lettere, incatenate nel loro svilupparsi e aggrovigliarsi cercando una fuga dal grigiore delle abitudini cercate. Le poesie di Emily Dickinson, ne ha scritte più di 3500 e ne conosciamo 1775, sono sentimenti che affiorano come se li vivessimo. Versi intensi in “una forma poetica irripetibile” per uno spaccato dell’America del 1800. Scandaglia l’animo umano e la natura, gli esseri viventi con i loro suoni, la vita e la morte. “Poteva vivere – visse –/ poteva morire – morì –/ poteva sorridere di tutto/ per fede in uno che non aveva conosciuto,/ presentando la sua anima./ Poteva passare dalla scena familiare/ a un posto mai visitato – / poteva contemplare il viaggio / con cuore non sconcertato –/ Tanta fiducia ebbe uno di noi,/ che oggi fra noi non è – /Noi che vedemmo il varo/ non abbiamo navigato il golfo!”.
Lettere, pagine tenute insieme da un filo legate come le parole, osserva il mondo la poetessa e lo riporta su carta, ne segue le passioni, le pulsazioni, il respiro. Conosce l’aria, la inspira, la trasforma in vortice creativo. Compone versi che suscitano ammirazione, oggi, che parlano d’amore, passione, tinte forti da contrapporre al bianco di un foglio. Lettera dopo lettere fissa l’immortalità, la sua, ed è qui tra noi, se ne può sentire il respiro tendendo l’orecchio alle pagine.