Errare distrattamente tra le sale create da pannelli in un percorso di tele appese alle pareti. Vagare di sala in sala ignorando sedie e divani
sui quali sedersi per riflettere o osservare i quadri da prospettive diverse.
Avanzare lungo il percorso tracciato da chi ha immaginato il viaggio immersivo nell’arte italiana lungo sette secoli. Trasecolare d’un tratto entrando in un nuovo ambiente e riconoscere una tela amata, dalle pagine di un libro di storia dell’arte ritrovarsela, all’improvviso, a portata di mano. Sognare di staccarla dalla parete e portarla in un luogo misterioso per poterla osservare indisturbati, lontano da suoni e distrazioni, in un incontro travolgente, prepotente, dove l’ammirazione lascia spazio alla passione.
È Campagna romana di Giovanni Fattori a rapire il visitatore errante. Giallo, ocre, colori caldi, come in una terra desolata la campagna lascia spazio alla rinascita con alcune tracce di erba pronta a spuntare. Sulla destra il mandriano, abiti pesanti, dietro di lui due vacche al pascolo, un pagliaio una scala poggiata, un recinto interrotto, un cielo velato di nuvole. Un momento in cui tutto sembra sospeso, in bilico, tra attività e riposo, tra vita e morte, tra lavoro e povertà. La campagna romana rivela la durezza del tempo, la fatica e la rassegnazione, lo scorrere ciclico delle stagioni, la lotta per la sopravvivenza. Le linee curve lasciano intravedere un paesaggio collinare, adatto alla coltivazione, il verde dell’erba la produttività del terreno la speranza di una nuova stagione che dia frutti e ricompensi le fatiche. Il buttero solitario avanza, nella terra desolata, campagna della Maremma, che Giovanni Fattori conosceva bene, aveva vissuto nella tenuta La Marsiliana del principe Tommaso Corsini nel grossetano, avanza quasi rassegnato, schiacciato dal peso del cielo e del paesaggio. Quanto sono simili, pensa il visitatore errante, le terre desolate.