Sorpresa, stupore, meraviglia, fastidio, inquietudine, ammirazione, si alternano sensazioni nel buio del luogo e nella luce delle teche.
Il tesoro di San Gennaro al quale si accede dalla cappella dei santi protettori di Napoli, perché uno per questa moltitudine non può bastare, svela tutte le contraddizioni di questa città, dalla grande cultura e dalla infinita povertà, della storia e della modernità.
Tra le teche i calici in oro e pietre preziose, la croce episcopale e la pisside, ecco apparire la mitra vescovile. Contare le pietre è missione impossibile, sono soltanto 3964. 3328 diamanti, 168 rubini, 198 smeraldi, durezza della fede, sangue del santo, e conoscenza. Realizzata nel 1713 dall’orafo Matteo Treglia ha un peso irrisorio, solo 18 chilogrammi.
La collana poi non è per tutti i colli. Nel Museo del tesoro di San Gennaro di Napoli i pensieri che affollano le menti dei turisti divengono leggeri dinanzi a tanta opulenza, ad alcuni affiora il ricordo di un vecchio film con Nino Manfredi e la regia di Dino Risi, Operazione San Gennaro. L’oscurità nasconde la blindatura di chi per fede non si azzarderebbe neanche a pensare una così offensiva ipotesi.
San Gennaro segna il destino della città, tre volte durante l’anno l’ampolla contenente il suo sangue è esposta ai fedeli perché si compia il miracolo della liquefazione, buon auspicio se il miracolo si rinnova. Difficile capire le dinamiche complicate di questo culto, di una città che cerca un protettore che la protegga da quel male di vivere in cui a volte si attanaglia.
Tra le pietre della mitra il verde degli smeraldi accende ben altre speranze.