Una città attraversata da folle solitarie, un vento caldo ed umido soffia tra i palazzi grigi e le strade immense e i vicoli stretti e regolari.
Il mare è una costante linea di compagnia, il Monte una presenza ingombrante eppure rassicurante, come se avesse già dato e l’avuto risultasse ancora in debito, per sempre.
Napoli, con le sue moltitudini assiepate sui marciapiedi spogli, negli atri delle stazioni, tra i quartieri identitari di un luogo che fu e torna ad essere immutabile. Nell’estraneità della città sconosciuta si affaccia solare la gentilezza, tutta partenopea, che ti cambia la giornata, facendo dimenticare il caldo dei 38 gradi all’ombra, ed un’impossibile salita da percorrere a piedi verso il rione Sanità.
Inizia da qui, da un’inutile premessa il nostro viaggio, 29 ore, un breve soggiorno di vacanza, a Napoli con i suoi colori, le sue bellezze, il suo sguardo fiero aperto sul mondo, il suo microcosmo di parole. Ventinove ore per scoprire una parte d’arte, di architetture e dipinti, di luoghi e tradizioni, di sapori e odori.
Tra i turisti estasiati e sorpresi, quelli incantati e esterrefatti, si muovono in silenzio invisibili e silenziosi donne e uomini e altrettanti ben visibili e rumorosi. Una città mai deserta, mai vuota, sempre animata fosse anche lo scooter che attraversa la via pedonale zigzagando tra la gente, e non infastidisce sembra quasi appartenere alla mobilità di questo luogo. Un racconto agostano che parte con un’inutile premessa, quando invece la città parla con i suoi silenzi.