Scendere le scale, dopo l’afa trovare il fresco, è come salire nel passato stratificato dei secoli. Scendere nei solchi scavati, alla terra.
Il buio è un mistero che attende di essere scoperto, avanzare è seguire la luce.
Le catacombe di San Gennaro a Napoli nel rione Sanità, spirito vero della città, sorprendono ancor prima che per la loro bellezza, per l’estrema cura che le caratterizza. Sul tappeto a proteggere i corridoi, un gesto di rispetto per quello che c’è sottoterra, non un grammo di polvere, che pure sarebbe facile trovare. Non è Virgilio che ci guida in questa discesa, eppure traspare amore per le parole e per la storia. La narrazione scorre lieve e nei silenzi sono altre voci quelle che si ascoltano.
Scendere nella catacomba inferiore, reticolato attorno alla Basilica di Sant’Agrippino, la vasca battesimale che stupisce per le sue dimensioni, per poi ammirare la catacomba superiore che ha origine da un antico sepolcro, ampliata con l’arrivo delle spoglie di San Gennaro nel V secolo. La narrazione assume toni da devozione nell’invito a guardare giù nella tomba, vuota, del santo patrono.
Sottoterra, riposavano i defunti, i più poveri solo strati di corpi separati, i ricchi nei rigidi letti scavati nella roccia. Scavo su scavo, nelle pareti, lungo i corridoi. Le catacombe ripropongono Napoli, fede, morti e vivi, anime separate eppure intersecate in maniera imprescindibile. Anime inseparabili.
Sulle pareti decorazioni pittoriche dal II secolo al X dopo Cristo, si susseguono stili e soggetti, viaggio nei riti per giungere al contemporaneo, gioco di luci che valorizzano il luogo, rivelando e nascondendo il sito.
Risalire è tornare alla luce che non illumina quanto il buio della terra che parla. La voce della guida è il saluto di chi vive, oltre la morte.