È una poesia energica, forte, densa di realtà. Versi di parole fiere, incisive che lasciano il lettore sorpreso ora dall’ironia o dalla rabbia.
Le forme dell’essere, i gesti, i corpi, uomo e animale, prendono forma, riportate su carte da uno sguardo esterno che è anche quello di chi legge, che viene quasi rapito nel pensiero che sia suo, lo sguardo.
Anatomie in fuga di Cristina Annino edito da Donzelli copre il silenzio di anni della poetessa che pur celandosi ai lettori non ha mai smesso di scrivere.
Nell’introduzione Maurizio Cucchi scrive “Cristina Annino … racconta il disagio e gli attriti dell’esserci. Un disagio che monta a volte fino a trasformarsi in vero e proprio schifo, o per meglio dire, usando una sua parola chiave, <<disgusto>>. Racconta la varietà del sentimento nelle sue normali forme, diciamo, ancora parafrasandola, <<sacre>> … e <<profane>>”.
Nei versi di Cristina Annino ci sono incisi, punti esclamativi, corsivi, contrapposizioni, c’è un ritmo che si interrompe per poi tornare ripido.
“Poniamo: lui sale le scale d’un palazzo/ qualunque; prende in mano/ la vita di lei com’un pezzo di lana;/ lei smette di respirare/ pensando al rosolio. Mica vuole/ l’asfalto, o ghiaia! Allora/ le cose si fanno reali reciprocamente. /Nessuna mitologia di scarto/ che toglierebbe almeno il banale./ Niente di niente, né vento gregoriano/ o pioggia lavatrice dove marcia/ lui com’un vulcano spento. Tale/ Miseria, ecco, ci rende solitari quanto/ sedie, su cui fissarsi ognuno la trave/ nell’occhio. Armamentario/ basso, brutto affare! Poniamo si misuri/ mente con territorio. È a questo/ punto, che il mondo stinge/ troppo (è così). Lui dirà senza/ sentirsi l’organismo – non lo vede - / al burro di lei, o amore per chi ha fede,/ che solo le bestie lo legano a un luogo./ E scende muto dalle case afflitte”.