Vagabondando senza pesi materiali, solo il mondo, degli oppressi e degli emarginati, solo le stelle sopra di lui e la vastità del mare.
Viaggiare era una ragione di vita, l’avventura il sale. E’ stato pescatore clandestino di ostriche, cacciatore di foche, pugile, raccoglitore di iuta e di cotone, strillone, agente assicurativo. Per sei mesi è stato corrispondente della guerra russo-giapponese e quattro volte è stato arrestato. Per liberarlo, l’ultima volta intervenne personalmente il presidente Theodore Roosevelt. Cercò l’oro nel Klondike, ma ritornò con lo scorbuto e un misero sacchetto di pepite da pochi dollari.
Quel vagabondo delle stelle che consumò tutta la sua vita in 40 anni diceva di non credere all’amore, ma si sposò due volte. Nessuna delle due mogli era Anna. La sua amata Anna Strunsky, scrittrice ebreo-americana, socialista impegnata nelle lotte del movimento operaio, contro la guerra, contro la pena di morte. Forte e volitiva e per Jack London sfuggente, inafferrabile. “Cara Anna, ho forse detto che gli esseri umani possono essere archiviati in categorie? Allora, se l’ho detto, lasciami fare una precisazione: non tutti gli esseri umani. Tu mi sfuggi” le scrisse in una lettera datata 3 aprile 1901.
“Non riesco a classificarti, non riesco ad afferrarti. Posso indovinare, nove volte su dieci, a seconda delle circostanze, posso prevedere le reazioni, quelle nove volte su dieci, dalle parole o dai gesti, posso riconoscere le pulsazioni dei cuori. Ma al decimo tentativo rinuncio. Non ci arrivo. Tu sei il decimo tentativo”.
Anna Strunsky incontrò Jack London all’università di Stanford, divennero amici. Poi membri dello stesso gruppo radicale The Crowd. Scrissero a quattro mani un libro epistolario, senza indicarsi come autori. Erano legati indissolubilmente l’uno all’altra. “Mai sono esistite due anime così simili e così incomprensibilmente assortite! Possiamo andare d’accordo, certamente, e a volte capita, ma quando non siamo d’accordo, ce ne accorgiamo subito e immediatamente non usiamo più lo stesso linguaggio. Diventiamo estranei. Dio riderà della nostra pantomima. L’unico sprazzo di sensatezza in tutto questo è che siamo tutti e due generosi, abbastanza generosi per capirci”.
Lui vagabondo delle stelle, amico di ladri e contrabbandieri, lei forgiata nel freddo e scappata da un pogrom, “Perché è vero, spesso ci capiamo, ma in modi vaghi e confusi, per mezzo di deboli percezioni, come fantasmi, che, mentre noi diffidiamo, ci perseguitano con le loro verità. E tuttora io, per primo, non oso crederci; perché tu sei sempre quel decimo che io non posso prevedere. Sono incomprensibile ora? Non lo so, forse sì. Non riesco a trovare un linguaggio comune. Generosità, ecco cos’è. E’ la sola cosa che ci tiene uniti”.
Lui che è sfuggito alla morte e ha rincorso la vita ogni giorno che i suoi piedi hanno calpestato la terra, non riusciva a prenderla. A comprenderla pienamente. “Qualche volte siamo attraversati da un lampo, tu ed io, abbiamo quel qualcosa in comune che ci fa respirare insieme. Sebbene siamo così diversi. Sorrido dei tuoi entusiasmi? E’ un sorriso che si può perdonare, è un sorriso di invidia”. Continuava a non chiamarlo amore, perché l’amore lega e lui voleva essere libero. La natura dell'uomo è vivere, non esistere, diceva ricordando il suo imperativo morale: non sprecare i suoi giorni nel tentativo di allungarli. Voleva vivere e come scrisse ad Anna “Ho vissuto venticinque anni di repressione. Ho imparato a non essere più entusiasta. E’ una lezione dura. Incomincio ora a dimenticare, ma è così difficile. Al massimo, prima di morire, posso sperare di aver dimenticato qualcosa. Posso esultare, adesso che sto imparando, per piccole cose, per altre cose, ma per le mie cose, e per quelle segrete, doppiamente mie, non posso, non posso”.
Era un tumulto, impetuoso cadeva e si rialzava. Decise di trasferirsi in California con la moglie Charmian, per sfuggire alla trappola della città. Si fece costruire una barca, voleva salpare i mari per sette anni. Furono solo 27 mesi. Ma li visse tutti intensamente, anche se così non gli sembrava. Nelle ultime parole della lettera ad Anna tutto il suo disincanto “Riesco a farmi capire? Riesci a sentire la mia voce? Temo di no. Ce ne sono tanti di posatori. Io sono il migliore di tutti”.