Quarantadue piume di struzzo, bianche e marroni, manico in avorio, oro e pietre dure servivano per sventolare il faraone Tutankhamen.
I flabelli bronzei di Populonia contraddistinguevano invece lo status sociale di uomini e donne.
Ma l’apice della bellezza e della grazia i ventagli l’hanno raggiunto in Cina.
Piume di fagiano e pannelli rivestiti di “fango d’oro”, una carta rivestita con un pigmento di polvere d’oro e colla. Tre diversi colori, lo standard gold (il colore tradizionale dell’oro), l’oro buddista (di una tonalità più scura dovuta all’aggiunta di pigmenti di rame) e il campo d’oro (un oro pallido con l’aggiunta di argento). Carta e seta erano la base sulla quale dipingere i ventagli, il manico veniva poi intagliato in avorio, tartaruga e madreperla e infine laccati e smaltati. Come solo gli artisti cinesi sapevano fare.
Tremila anni di storia raccontati attraverso i ventagli in mostra al Museo dei palazzi imperiali di Pechino. Un lungo susseguirsi di disegni e calligrafie dei Ming e dei Qing.
Una storia che racconta una danza, quella appunto dei ventagli, considerata una forma d’arte, con i danzatori sempre alla costante ricerca del punto di equilibrio tra discipline marziali e armonia dei gesti, forza e dolcezza, rapidità e morbidezza. Una storia infinita tra yin e yang.
Un’arte portata anche a teatro con “La principessa del ventaglio di ferro” trasposizione del romanzo “Il viaggio all’Occidente" del monaco Xuan Zan dei Tang e i suoi discepoli. Il ventaglio qui esprime forza e salvezza e sarà utilizzato per spegnere le fiamme che incendiavano una montagna.
Ambiti, pregiati, preziosi oltre ogni immaginazione e al centro di mille racconti. Si narra che il sommo poeta Su Dongpo per estinguere il debito di un fabbricante di ventagli, se ne fece portare 20 da lui realizzati e ci dipinse paesaggi, fior di susine, pini e canne di bambù. L’artigiano uscì dal tribunale con i venti ventagli che vendette immediatamente riuscendo così ad estinguere il suo debito.
Durante la dinastia Qing era tradizione scambiare ventagli pieghevoli con pezzi di calligrafia e pittura di paesaggi poetici sul pannello come doni di amicizia tra i letterati. Un modo per raccontare una storia attraverso un oggetto.
In Francia invece i ventagli lanciavano messaggi d’amore a seconda di come venivano sventolati. Lentamente nel caso di una donna sposata, velocemente da una ragazza fidanzata, veniva invece fatto cadere se la donna pur libera non era interessata al suo pretendente. Non servivano parole per far nascere, fiorire o lasciar morire un amore. Bastava il semplice e quasi impercettibile movimento del ventaglio.
Chiude il ventaglio la dama per chiedere “Mi ami?” e se è lei a voler gridare il suo amore lo farà scivolare su una guancia. L’odio invece era ben chiaro se la dama lo faceva scivolare attraverso la mano. Per conoscere un pretendente lo impugnava con la mano sinistra e lo portava davanti al viso. Ancor più audace il messaggio se a impugnarlo era la mano destra, un chiaro invito per il pretendente a seguire la donna. E se un bacio era tutto ciò che una donna desiderava, doveva portarsi il manico alle labbra. Invece se l’unica cosa da dire era un si o un no, bastava appoggiare il ventaglio sulla guancia destra per acconsentire o sulla sinistra per dissentire.
Se la dama voleva osare un incontro bastava che se lo passasse sotto l’occhio per chiedere “quando ci vediamo?” e il numero di stecche aperte del ventaglio avrebbe rappresentato l’ora prescelta.
Se ahinoi l’amore era destinato a finire la donna lo passava lentamente dietro la testa per dire all’uomo appena lasciato “non dimenticarmi”.
E l’amore era così concluso con un elegante ed impercettibile spostamento di aria.