Raccontarsi per essere nel mondo, per salvarsi dal dolore, per dare un senso alla vita, per essere parte di una comunità.
Byung-Chul Han torna con La crisi della narrazione. Informazione, politica e vita quotidiana edito da Einaudi e tradotto da Armando Canzonieri.
“Fino a quando i racconti sono stati il nostro punto di ancoraggio all’essere, ci hanno assegnato un luogo e grazie a essi il nostro essere-nel-mondo è stato un essere-a-casa, fino a quando hanno dato un senso, un sostegno e un orientamento alla vita, il che significa finché il vivere stesso era un narrare, non si parlava affatto né di storytelling né di narrazioni…nel momento in cui le narrazioni vengono viste come un qualcosa che può essere costruito seguendo delle regole di composizione, viene meno il loro momento di verità interno” scrive Han.
“La narrazione come tonalità emotiva del tempo” è il fulcro del nuovo saggio del filosofo di origini coreane che continua a chiederci di indugiare, di fermare la corsa ossessiva e priva di senso che scandisce le nostre vite.
“Le storie congiungono le persone le une alle altre, favorendo la capacità di empatizzare. Da esse emerge una comunità…raccontare presuppone, di contro, un restare in ascolto e un’attenzione profonda” scrive Han che in un mondo bombardato da stimoli e narrazioni costruite a tavolino, scava nel profondo di ognuno di noi.
La narrazione che cura il dolore, lo diceva Freud che intende il dolore come il blocco nella storia di una persone e lo diceva Isak Dinesen (Karen Blixen) “Ogni pena può essere sopportata se la si narra, o se ne fa una storia”.
Byung-Chul Han ne è convinto “La fantasia narrativa è curativa. L’opprimente fattività delle preoccupazioni viene allontanata nel momento in cui viene posta sotto una luce narrativa…Anziché comprimersi e solidificarsi in un blocco mentale, esse si fluidificano nella corrente narrativa”.