L’Italia stava ricostruendo se stessa dopo la devastazione della seconda guerra mondiale.
Da oltreoceano, con il Piano Marshall arrivarono i fondi per finanziare la riforma agraria che avrebbe ridotto le differenze di classe sociale.
De Gasperi, Segni e Fanfani scrissero la riforma fondiaria, lo strumento adottato era la restituzione della terra alle persone, ai contadini e ai braccianti, sottraendola ai latifondisti, per far rinascere spazi, luoghi e speranza.
Dal 2017 Steven Seidenberg, artista, poeta e filosofo e Carolyn White, docente di antropologia all'Università del Nevada hanno iniziato un percorso di documentazione sui resti di quella Riforma, tra luoghi rinati e abbandonati in Puglia e in Basilicata. Abbiamo parlato con Seidenberg del suo progetto L’architettura del silenzio, immerso tra le masserie, gli jazzi e le neviere del Parco dell’Alta Murgia.
In tempi di caos, nel mezzo dell'infodemia, quanto abbiamo bisogno di silenzio?
Bisogna prima definire cosa intendiamo per silenzio: il silenzio è direzionale, è una deviazione dal rumore, sempre presente, delle circostanze; sotto questo aspetto il mondo non tace mai, finché si è capaci di sentire, vale a dire si è vivi. Ciò che intendiamo per silenzio è, piuttosto, una soppressione di un qualche vettore di sensazione, che a sua volta consente di concepire una sorta di ascolto attivo sia come rimedio alla ricezione passiva di senso o informazioni che tu chiami “infodemia”, e agli abusi del silenzio. Quest'ultimo è il senso del silenzio che intendo nel titolo della mia raccolta di foto delle case della Riforma Fondiaria, L'Architettura del Silenzio; la pratica dell'artista - e almeno parte della metodologia che circoscrive il mio progetto di fotografo - presenta la possibilità paradossale di costringere un impegno così attivo, attraverso il discorso estetico, l'esperienza forzata della sublimità.
Un paesaggio rurale può restituire bellezza e serenità?
Questa esperienza è ugualmente possibile attraverso un paesaggio rurale/non umano e un paesaggio urbano, ma il senso della differenza o radicale alterità è ciò che identifica la possibilità dell'ascolto attivo. Non ha bisogno di essere bello, e la bellezza non è lo scopo – anzi, è la sublimità che vincola l'ordine etico dell'esperienza estetica, e include nel suo quadro l'empatia e la responsabilità, nella documentazione storica (evidente nel linguaggio delle cose, della cultura materiale che definisce il mondo in termini di paesaggio naturale o fabbricato) e nel futuro speculativo di quella stessa messa in scena.
Come definirebbe il paesaggio dell'Alta Murgia?
L'Alta Murgia presenta entrambi i percorsi di ascolto, attraverso la sublime drammaticità della sua varietà geologica e le tracce culturali che i tanti millenni di frequentazione umana hanno lasciato.
Quanto può dirci un oggetto del passato sul presente?
Qualsiasi oggetto o collezione di oggetti - quelle stesse tracce culturali - sono ciò che mi ha portato per la prima volta nei paesaggi culturali dell'Alta Murgia, in particolare le case abbandonate della Riforma Fondiaria, e la prospettiva di impiegare la mia stessa pratica di artista per ascoltare alcuni lontani echi delle vite che sono state messe a tacere da quelle iniziative di politica pubblica, iniziative che sembrano progettate per mettere in atto quella soppressione. Questo ascolto, come accennavo sopra, può fare molto di più che dirci qualcosa sul presente, può riconfigurare tutto il nostro rapporto con il nostro passato e la nostra comprensione delle strutture che limitano la nostra vita e le nostre possibilità, non solo in Puglia e Basilicata, ma archetipicamente, in tutto il mondo.
Oltre al silenzio, gli esseri umani hanno bisogno di spazi di solitudine?
Lo spazio dell'ascolto è uno spazio di solitudine solidale. L'esperienza del sublime è sempre solitaria in quanto essenzialmente vissuta da soli, ma è paradossalmente un'esperienza di estasi individuante, l'esperienza più intensamente singolare che esige – costringe, in verità – la comunione con il paesaggio e i suoi diversi abitanti, storici e futuri.
And now in english…
Italy was rebuilding itself after the devastation of Second World War. From overseas, funds came with the Marshall Plan to finance land reform that would reduce differences in social class.
De Gasperi, Segni and Fanfani wrote the land reform, the instrument to help was the return of the land to the people, the peasants and the labourers, subtracting it from the landowners, to revive spaces, places and hope.
Since 2017 Steven Seidenberg, artist, poet and philosopher and Carolyn White, professor of anthropology at the University of Nevada have started a process of documentation on the remains of that Reformation, between reborn and abandoned places in Puglia and Basilicata. We spoke to Seidenberg about his project The architecture of silence, immersed in the farms, jazzi and neviere of the Parco dell’Alta Murgia.
In times of chaos, in the midst of the infodemic, how badly do we need silence?
One must define what we mean by silence first––silence is directional, it is a manner of diversion from the ever-present noise of circumstance; in this respect the world is never silent, as long as one is capable of sensation, which is to say, one is alive. What we mean by silence is, rather, a suppression of some one vector of sensation, which in turn allows one to conceive a kind of active listening as both the remedy to the passive receipt of sense or information you refer to as the ‘infodemic’, and to the abuses of being silenced. This latter is the sense of silence I mean in the naming of my collection of photos from the houses of the Riforma Fondiaria, The Architecture of Silence; the practice of the artist—and at least part of the methodology that circumscribes my project as a photographer—presents the paradoxical possibility of compelling such an active engagement, through aesthetic discourse, the compelled experience of sublimity.
Can a rural landscape restore beauty and serenity?
This experience is equally possible through a rural/non-human landscape and an urban landscape, but the sense of difference, or radical alterity, is what identifies the possibility of active listening. It does not need to be beautiful, and beauty is not the purpose––indeed, it is sublimity that constrains the ethical order of aesthetic experience, and includes within its framework empathy and responsibility, in the historical record (evident in the language of things, of the material culture that defines the world in terms of natural or manufactured landscape) and in the speculative futurity of that same mise-en-scene.
How would you define the landscape of the Alta Murgia?
Alta Murgia presents both pathways of listening, through the sublime drama of its geological variety and the cultural traces that the many millenia of human occupants have left behind.
How much can an object from the past tell us about the present?
Any object or collection of objects - those very cultural traces - are what first drew me to the cultural landscapes of Alta Murgia, in particular the abandoned houses of the Riforma Fondiaria, and the prospect of employing my own practice as an artist to hear some distant echo of the lives that were silenced by those public policy initiatives, initiatives that appear designed to enact that suppression. This listening, as I mentioned above, can do more than just tell us something about the present, it can reconfigure our entire relationship to our past and our understanding of the structures that limit our lives and our possibilities, not just in Puglia and Basilicata, but archetypically, the world over.
In addition to silence, does human beings need spaces of solitude?
The space of listening is a space of solitude in solidarity. The experience of sublimity is always solitary insofar as it is essentially had alone, but it is paradoxically an experience of individuating ecstasis, the most intensely singular experience that requires - compels, really - communion with the landscape and its various inhabitants, historically and to come.