Era il 20 novembre 1961 quando Bob Dylan entrò in uno studio di registrazione per incidere il suo primo album, Bob Dylan. Non fu un successo.
Solo tre pomeriggi per registrare 2 suoi brani e 18 cover di altri artisti. Un disco che non lasciò il segno in chi lo ascoltò.
“Ho sentito un uomo morire di fame, ho sentito molte persone ridere, ho sentito la canzone di un poeta morente in un canale di scolo, ho sentito il suono di un clown che piangeva nel cortile, e una dura, e una dura, e una dura, e una dura e una dura pioggia cadrà” scrive Bob Dylan in A hard rain’s a –gonna fall nel 1963. Salto stilistico, prime parole che preannunciano l’anima poetica.
“Vivo in un paese straniero ma sto per attraversare il confine la bellezza cammina sul filo del rasoio, un giorno la farò mia. Se solo potessi tornare indietro all'ora in cui Dio e lei nacquero. Entra - disse lei - Ti darò riparo dalla tempesta” scrive 10 anni dopo nel brano Shelter from the storm.
Che sia un poeta non è in discussione, né che sia un grande musicista che ha attraversato la parte finale del 1900 e si è affacciato al nuovo millennio con una curiosità ed una voglia di sperimentare che appartiene solo agli artisti. Lui, che nella sua carriera ha narrato le problematiche del suo tempo, i conflitti razziali, le paure e il terrore ed anche l’amore e la pace, ha ricevuto nel 2016 il Nobel per la letteratura.
Ma “quante strade deve percorrere un uomo prima di essere chiamato uomo? Per quanto tempo un uomo deve guardare in alto prima che riesca a vedere il cielo? E per quanti anni alcuni possono vivere prima che sia concesso loro di essere liberi. E per quanto tempo può un uomo girare la sua testa fingendo di non vedere? La risposta, amico mio, se ne va nel vento, la risposta se ne va nel vento”.
La risposta se ne va nel vento, come il suono di una armonica, una scala su una chitarra acustica, una nota prolungata su una elettrica. E il vento lo riporta qui, dal lettore distratto, dall’ascoltatore casuale, qui in ogni dove.