Forse un mattino, sotto una pioggia torrenziale, potresti per ragioni necessarie raggiungere Michele l’edicolante di Bari.
Per fare incetta di riviste. Dietro la sua mascherina, Michele ti racconta di come i primi 15 giorni di quarantena siano stati terribili. I suoi quotidiani son rimasti lì, restituiti il giorno dopo. I clienti barricati nelle loro abitazioni spiavano il mondo dietro i vetri dei portoni o passeggiando sui balconi. Dopo le due prime settimane invece gli affezionati son tornati ad acquistare, mascherina, guanti e gel igienizzante a portata di mano. Anche se con un orario ridotto Michele non ha mai smesso di lavorare, dietro la sua postazione circondata da riviste ha osservato la strada vuota, priva di rumori e ha quasi sentito la mancanza del traffico caotico delle ore di punta, in via Giulio Petroni. Mi spiega che ha finito tutte le pubblicazioni di chiacchierino, uncinetto, punto croce, soprattutto quelle che contenevano cotoni e arnesi. Ma anche le riviste del fai-da-te e dei giochi per bambini?
E sì che la quarantena ha cambiato abitudini, ha forzato convivenze, ha rinchiuso tutti tra quattro mura, con il solo pensiero di far passare il tempo senza cedere alla paura dei numeri sciorinati senza sosta di trasmissione in trasmissione di telegiornale in telegiornale. Numeri e poche storie. Numeri e non nomi. Nomi che non puoi più leggere sulla lapide di un tuo caro come se non si potesse neanche metabolizzare una morte. Nè portare un fiore.
Mettere distanze, ben oltre un metro. Abissali. Ancor di più tra chi ha e può fare, e chi non ha e può solo immaginare. Distanze, divari sociali. Mentre ci si impoverisce in attesa di chi sa cosa, almeno il piacere di sfogliare una rivista, la carta patinata, tra un capriccio e la voglia di uscire di un bambino, leggere un articolo, un altro punto di vista. Ossigeno necessario contro la bruttezza del tempo imposto.
Perché poi cos’è necessario? Lo sa ogni singola persona “che si sente tutt’uno con gli altri”.