Sono in aeroporto ed il mio volo porta due ore di ritardo, credo sempre che certe cose debbano andare in una certa maniera,
come se l’universo faccia in modo che tu ti trovi in quel momento ed in quel posto chissà per quale disegno assurdo della vita.
Ho comprato il mio panino e la mia Coca Cola, lo so non fanno bene, ma quell’attesa mi ricorda che forse ho bisogno di zuccheri per sentirmi un pochino felice.
Mi incanto a fissare gli aerei che volano guardando la finestra davanti a me, sento le voci ovattate ed il mio pensiero inizia a vagare nel tempio dei ricordi.
Come se a volte la mente vuole ricordare solo i bei momenti per mascherare quelli brutti.
Nella mia vita sono successe troppe cose, forse alcune inaspettate, altre non le avrei volute, ma ciò che ho imparato è che ogni esperienza viene per insegnarci qualcosa.
Qualche tempo fa ho conosciuto Michele, in una semplice domenica pomeriggio, mentre andavo in libreria.
Quando l’ho visto per la prima volta, ho pensato che lui sarebbe diventato mio marito.
Un colpo di fulmine?
Non lo so, ma la sensazione era bellissima.
Occhi verdi, alto ed un sorriso straordinario.
Non so perché mentre sono in aeroporto mi sia venuto in mente lui, forse l’odore dolciastro del profumo della mia vicina di sedia, pare che portino alla testa i ricordi legati a quel momento.
Michele era un funzionario di banca, ma era anche un attore, avrei dovuto capirlo subito che quello che avrei vissuto con lui era tutta una messa in scena, ma ciò che conta è l’emozione che mi ha lasciato.
Recitava in una compagnia teatrale, era tutto iniziato per gioco e poi si era ritrovato in varie tournée, lo faceva da diverso tempo e quel pomeriggio era libero e come me era andato a comprarsi un libro.
Scambiammo diverse parole oltre che sguardi e sorrisi e mentre parlava mi sentivo a mio agio, come se lo conoscessi da tempo.
Quando, Michele, si congedò, non mi lasciò nessun contatto, mi disse solo: “se vuoi sai come trovarmi”.
L’epoca dei social mi aiutò nella ricerca e quando lo trovai non esitai a contattarlo, avevo voglia di conoscerlo.
Iniziammo così a scriverci per tanto tempo, fin quando non decidemmo di vederci.
Il giorno dell’incontro il mio sesto senso mi diceva di non fidarmi, ma Dio solo sa quanto sia testarda.
Lo vidi era lì davanti al locale e sapevo bene che sarebbe stata una cosa incredibile.
I giorni successivi mi venne la febbre a 39 e non so per quale ragione, iniziai a fare delle ricerche e così scoprii che Michele era impegnato. Aveva una relazione con un’altra donna.
Per me fu una doccia fredda, perché non me lo aveva detto, perché non mi è mai piaciuto essere la seconda e nemmeno la terza.
Questa cosa mi fece molto male, ma non volevo rinunciare a lui, sbagliai, ma sentivo che quella energia e quella chimica era solo nostra e di nessun altro. Mi ero innamorata? Non lo so.
Illusa sicuramente di questo, ma per me non doveva finire.
Iniziai ad essere la sua prima fan, a guardare tutti i suoi spettacoli teatrali, da “Aspettando Godot” a “Sei personaggi in cerca d’autore”, sedevo in prima fila, in ogni città, in ogni dove ed ogni volta
ci vedevamo per stare insieme.
Non era una relazione, era chimica la nostra.
Ridevamo di tutto e spesso ci raccontavamo.
Un feeling clandestino, se non fosse che io iniziavo a stancarmi di quella situazione e forse anche lui e per quante volte avrebbe voluto chiuderla, si ritornava sempre lì, fin quando decidemmo di non vederci più.
Qualche anno più tardi io mi sono ammalata, ero in chemioterapia ed avevo fatto la mia quarta infusione di “Rossa”, la sua compagnia aveva una tappa vicino la mia città, così un mio amico di fiducia, mi chiese se volessi andarci, anche solo per salutarlo.
Ci andai.
Ero emozionata solo all’idea di rivederlo.
Aveva saputo che mi ero ammalata.
Ci eravamo anche sentiti.
Quando mi vide, con il turbante, venne verso di me, ed in un abbraccio così grande scoppiò a piangere.
Non me lo aspettavo, ma so che era felice quanto me di rivederci.
Mi sedetti al mio posto, in prima fila e vidi lo spettacolo.
Ad un tratto fermò tutta la scena con i colleghi ed iniziò a recitare: “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale” una poesia di Eugenio Montale.
Quell’improvvisazione, quella dedica si concluse con un applauso dedicato a me.
Avevo gli occhi pieni di lacrime, non avrei mai immaginato lo avrebbe fatto, ma mi lasciò il cuore pieno d’amore.
Quando andai via, mi tolse il turbante, prese la mia testa rasata fra le sue mani e mi disse:
“Grazie per questo regalo che mi hai fatto oggi, onorandomi della tua presenza”.
Penso che ognuno di noi sia il regalo di qualcun altro e per quanto la vita sia complicata quello che ci portiamo è sempre la parte più bella di ogni esperienza.
Non ho più sentito Michele, ma so che ogni volta che vorrò mi basterà ricordare quella storia di totale follia e chissà ridere di felicità.
L’hostess chiama finalmente il mio volo, prendo lo zaino e mi metto in fila.
Per un altro viaggio verso casa.