Scrivere, riempire fogli di parole, pensieri che prendono forma tra frasi e periodi. Scrivere per raccontare o per colmare silenzi profondi.
Silenzi che si sono consolidati nel tempo, rinuncia dopo rinuncia, parola taciuta dopo parola taciuta. Impossibile uscire dal mutismo se non con la scrittura. Un foglio bianco, vuoto, che va colorandosi di nero, colore impostato da sempre, il rosso solo per evidenziare dimenticanze.
Scrivere per provare di esistere oltre l’inconsistenza dell’ascolto, muto anche quello. Perché le parole le hai perse, tempo fa, quando la neve era un brivido caldo. La libreria conserva i tuoi libri, li protegge dalla polvere e dal tempo, non dall’usura delle tue mani che continuano a sfogliarli, cercando passaggi memorizzati, frasi sottolineate con la matita trasparente della tua memoria. Il geranio fiorito rosso, fucsia, rosa è inusuale a queste altitudini, eppure parla di te e di altri balconi dai quali ti affacciavi per guardare il mare.
Scrivere per ricordare immagini vissute, emozioni provate, risate tra i boschi e le valli, serate sorseggiando una tisana ai mirtilli leggendo poesie di Eugenio Montale e William Shakespeare. Scivola sul foglio la penna, lascia un tratto nuovo d’inchiostro che la carta d’Amalfi assorbe, sembra una goccia di pioggia, o ancora una lacrima prima di precipitare lungo la guancia. La penna si ferma, anche il cursore, persa l’occasione di lasciare correre le parole, ritorni al mutismo, come trincea, ultima linea di difesa. Torni a sorridere.