Il mare accarezza la costa, scopre anfratti da cui si affacciano piccoli granchi, sui frangiflutti un vecchio pescatore arriccia un polpo.
Le auto sfrecciano sul lungomare, i guidatori si lasciano distrarre dall’azzurro e dalle piccole imbarcazioni in uscita dal porticciolo del Margherita. Un ragazzo e il nonno gettano gli ami e grossi pesci abboccano, trasferiti in un secchio di plastica celeste attenderanno una fine, lo spazio infinito d’un tratto diviene ricordo.
Luca questo mare non lo ha osservato, aveva altro da fare, fuggire da una vita in cui era stato costretto, relegato in un angolo buio, la luce era un calcio ad un pallone sognando di diventare un giorno il nuovo Cassano. Escono i quadri, bocciatura al primo anno del liceo, un altro tassello da aggiungere al puzzle dei suoi fallimenti, non lo aveva colto di sorpresa. Non aveva passato gli ultimi nove mesi a studiare, si era limitato a leggere e scrivere qualcosa, poche parole, pochi numeri, poche formule, poco tutto. La sua attenzione, i suoi sforzi erano tutti indirizzati alle immaginifiche traiettorie che un pallone poteva disegnare prima di gonfiare la rete della porta avversaria. Traiettorie di sogni.
Nella solitudine della sua camera aveva aperto la finestra, guardato il mare, i lampioni del lungomare Nazario Sauro, confine tra terra e acqua, asfalto e fondale. Ora la visione era nuova, “il lungomare disteso”, striscia tra i palazzi e l’infinito, era una linea sottratta all’azzurro, era il modo per la città di adagiarsi accanto al suo mare. Sull’asfalto nero un pallone colorato rotola, disegna una traiettoria nuova. Niccolò si precipita in strada lo raccoglie per restituirlo al bambino che lo ha perso. Un attimo, un sorriso, un sogno.