Quando il cielo si fa scuro, le nubi minacciano temporali travolgenti e distruttivi, di quelli che fanno paura, si può decide di restare fuori.
Respirare, aspettando la pioggia copiosa, la grandine, i fulmini. Alla riva del mare “se vedi onde non le temere sono le mie lacrime, fiumi d’argento”, seduto sulla sabbia aspettare che il grigio scuro si avvicini scatenando il suo malessere. Eccole le prime gocce pesanti toccare la superficie dell’acqua cerchi concentrici si diffondono scontrandosi, e poi piove sulla tua testa di ricci disciplinati, finora. Senti come è fredda quest’acqua che precipita dal cielo come se dovesse lasciare un segno lì dove impatta. Non desisti, gli abiti bagnati aderiscono al tuo corpo rivelandone la muscolatura scolpita nelle ore trascorse in palestra. Dietro il vetro di una finestra un’anziana donna osserva il temporale per pochi istanti prima di chiudere la tapparella, prima di isolarsi dal mondo, prima di sentirsi protetta tra le mura della sua casa, non teme improbabili discese di fiumi di fango in una terra pianeggiante. Aspetti, mentre l’acqua ti scivola nei padiglioni auricolari, che il temporale passi oltre e la tua attesa non è breve. Un fulmine squarcia l’irregolarità delle nuvole e precipita in mare, il rumore del tuono è troppo vicino perché resti inascoltato. “E se nell’aria senti voci e lamenti sono io che ti chiamo, e non mi senti”, ma non hai più chi chiamare, la sua finestra è chiusa dal giorno in cui decise che quel posto quel luogo non era più suo. Era un giorno di marzo e pioveva, un diluvio.
Sulla riva il fresco vento che arriva da ponente cancella le nubi rapidamente. E tutto torna “perché con la ragione si sopravvive a tutto, si distrugge il distrutto, ricostruendo a intarsi la copia fedele dell'innamorarsi, e un tassello alla fine o è dell'uno o è dell'altro”.