Raccolte sul molo attendono che qualcuno le riporti in barca, sul peschereccio, da calare all’indomani confidando che il mare sia buono.
Buono e generoso che le riempia senza sorprese di plastica, rifiuti abbandonati di proposito perché il mare è grande e tutto vi si può nascondere. Orrori, corpi, indifferenza, dolori, speranze, amori.
Le reti accuratamente ripiegate da mani esperte consunte dal tempo dalla salsedine dalla fatica attendono la loro nuova immersione. Nelle gelide correnti arrancare, aggrappare piccole creature viventi, loro sì a casa, per poi portarle su, sul peschereccio, assi di legno che solcano onde e sfidano il tempo, nella luce dell’alba è già un ritorno alla terra ferma.
Sul molo un anziano di cui non si contano gli anni svolge il suo ruolo con maniacale precisione e dedizione. Ripiegare reti, ricucire buchi, perché nessun pesce ci passi in mezzo ma resti lì, imprigionato. Non trovano vita, i pesci, nella loro forzosa risalita, uomini non la trovano nella veloce discesa sul fondo. Chi corre schiacciato verso la luce, chi obbligato sommerso nel buio. Comunque è perderla, la vita, l’esistenza.
La rete da pesca, lei svolge il suo compito puntuale, preciso, senza sbavature. Segue i comandi che le vengono imposti, lei non può ribellarsi, in fondo è il suo mestiere. Attraversare mari che altri hanno navigato, lasciarsi trascinare, inglobare prede e ciò che trova nella profondità del blu.
In una tinozza ripiegata al sole attende l’imbrunire, verrà la notte e sarà ancora mare.