Abbandonata, in un giorno non troppo lontano, dimenticata, poggiata ad un albero di mandorlo che domina incontrastato il vigneto.
Una scala servita forse per una potatura o per raccogliere mandorle, recuperare un pallone incastrato tra i rami o liberare un aquilone finito sull’albero sospinto dal vento in uno scherzo all’improvviso. Più semplicemente poggiata ad un albero per salire più comodamente e toccare le nuvole, zucchero filato in spazi così immensi da sembrare infinitamente vicini.
Salire i gradini, uno dopo l’altro, con assoluta leggerezza solo per osservare la campagna da una prospettiva diversa, non quella dal basso delle lucertole sulla terra brulla a prendere il sole, non quella dell’uomo che pensa che la sua sia un’altezza invidiabile, non quella di una rondine distratta dalla primavera. Nuova prospettiva come quella dello sguardo di un bambino per la prima volta nascosto su un albero, chiome a proteggere da occhi preoccupati, che gode dell’iniziale spettacolo di vedersi cercato tra i cespugli, nell’erba incolta, sotto, giù. Dai rami può guardare senza essere visto, godere di uno spettacolo nuovo, prima di manifestarsi, prima di essere scoperto.
La vecchia scala poggiata all’albero i segni della ruggine, del tempo, anche, che scorre come nuvole che si rincorrono. Il vecchio mandorlo attende che qualcuno ritorni a salire quella scala, si arrampichi su di lui, per una ragione inconsapevole o solo per l’irresistibile voglia di sfidare se stessi, cercare un punto di vista diverso per guardare al proprio interno.