E se una insicura ragazza di 19 anni, moglie di un grande e affermato poeta non fosse per niente intimidita da lui e dalle altisonanti compagnie
che frequentavano?
Può capitare che si faccia beffa di tutti, dell’immenso talento degli uomini seduti accanto a lei e che per gioco, in seguito ad un incubo scriva uno dei più grandi romanzi della letteratura mondiale.
Lei, come è ben noto è Mary Wollstonecraft Godwin, figlia dei filosofi Mary Wollstonecraft e William Godwin. Il marito conosciuto ad appena 16 anni è Percy Bysshe Shelley.
Il caso e la capacità di cogliere al volo le opportunità che riserva sono al centro della fortuna di Mary Shelley. Una vacanza fatta per accontentare sua sorella, Claire Clairmont che voleva ricongiungersi con il suo amante, Lord Byron. Arrivarono a Ginevra. I coniugi Shelley con la sorella di lei risiedevano alla Maison Chappuis, Byron e il suo medico personale John William Polidori a villa Diodati. E sarà lì il 16 maggio del 1816 che per un gioco inventato da Byron i cinque amici si ritrovarono a inventare storie spaventose di fantasmi.
Il destino si fa beffa dei due grandi scrittori per ben due volte quella sera. Mary Shelley in quella villa sul lago di Ginevra darà vita a Frankenstein o il moderno Prometeo e John William Polidori a The vampyre, l’opera che ispirerà il Dracula di Bram Stoker.
Il destino aveva scelto lei più di una volta.
“Vidi con gli occhi chiusi, ma con una mente ben sveglia, il pallido studioso di un’arte profanatrice inginocchiarsi accanto al risultato della sua opera, vidi l’orribile fantasma di un uomo disteso dare qualche segno di vita, per via di un potente meccanismo: lo vidi agitarsi, ancora informe ma già quasi umano” scrisse Mary Shelley del suo incubo notturno che trasportò su carta con uno scopo per preciso, che lasciò svelare alla voce narrante del suo capolavoro “Mi ingegnai di inventare una storia che sapesse parlare alle paure più misteriose della natura umana. Risvegliando in essa il fremito dell'orrore. Una storia che inducesse il lettore a tremare nel guardarsi intorno... che gelasse il sangue e gli accelerasse i battiti del cuore”.
Fu sempre lei che con caparbietà pubblicò due anni dopo 500 copie del suo libro in forma anonima, sia mai che il lettore ottocentesco leggesse un nome femminile nello spazio lasciato all’autore. Lei che andò avanti nonostante le prime ingloriose critiche. Lei che fu scelta dal pubblico che comprò in massa il suo libro (così come quello dell’amico Polidori). Lei, che del maschilismo dell’epoca si fece beffa, glissando sul cambio di rotta dei critici che alla pubblicazione della seconda edizione del libro, scoprendo che l’autrice era una donna scrissero “per un uomo era eccellente ma per una donna è straordinario”.
Con la forza di chi sa che con le sue parole è andata oltre le piccolezze umane, quelle parole che sono luce nel caos “E io ho dato il cuore per conoscere la saggezza e per conoscere il furore e la follia e ho compreso che tutto è vanità e afflizione dello spirito. Perché in molta saggezza vi è molto dolore e colui che accresce la conoscenza accresce la sofferenza”.
Ed è ancora lei che a distanza di oltre cento anni si è fatta beffa di scaffali dedicati e teorie gender, abbozzando un sorriso sornione quando, nei giorni scorsi, una di quelle 500 copie è stata venduta all’asta da Christie's a New York per l’incredibile cifra di 1.170.000 dollari. Circa sei volte di più della stima iniziale. Una delle più alte di sempre.