Aveva solo 10 anni quando prese la decisione che l’ha resa la donna che è.
Il padre portava a casa dei grossi pezzi di formaggio e lei di nascosto decise di romperli e portarne qualcuno a quella signora con tanti figli e il marito disoccupato. “Io fotografo perché devo stare da quella parte lì”.
Lei è Letizia Battaglia, 84 anni, una delle più grandi fotografe di sempre.
Non ha mai scattato una foto con il teleobiettivo, perché mette distanza e lei nelle cose ci deve entrare, per farle sentire a se stessa e a chi le guarda. Dentro sino ad averne la nausea, come le foto di mafia che l’hanno resa famosa nel mondo. Ha fotografato i corleonesi. Sua la foto di Andreotti con Nino Salvo che esce dall’hotel Zagarella. Ha immortalato il dolore incontenibile e rassegnato di Felicia, la mamma di Peppino Impastato, seduta sul divano di casa, con le mani strette, unica forza per una donna che deve fare i conti con l’ineluttabilità della vita. Alle spalle la foto del figlio morto ammazzato a soli 30 anni.
Ha sospeso nel tempo il volto di Rosaria Schifano, vedova di Vito, uomo della scorta di Giovanni Falcone. Gli occhi chiusi, il volto illuminato solo per metà, i lunghi capelli neri che incorniciano il viso.
Una vita di dolore che Letizia Battaglia nelle sue foto non ha mai edulcorato. A chi le chiede come mai le sue foto sono piene di sangue lei risponde che nella morte c’è il sangue, c’è il trauma, il dolore e la violenza e lei deve farli vedere, non può nascondere la verità.
La verità è tutta in quei piedi scalzi delle mamme e delle mogli dei morti ammazzati, che corrono per raggiungere il figlio, il marito, come se il tempo non si fosse fermato per sempre, come se correndo potessero rubare qualche altro istante di vita.
La verità di un uomo nella sua auto con il collo che non regge più la testa, china sul petto e la mano adagiata sul sedile del passeggero, morto anche lui. Ammazzato.
La Battaglia ha fotografato la sua amata Palermo prima e meglio di tutto, perché “il mio amore è tutto per lei, le altre mie foto sono dei fallimenti”. Le strade, i vicoli, i riti, le tradizioni popolari. La povertà. Il letto che racchiude una famiglia intera con la mamma esausta che riposa e i due figli accanto a lei, gli occhi neri come la pece, nell’unico mondo che conoscono.
Ha immortalato Pasolini, Sanguineti, Berlinguer con la stessa verità e amore per la giustizia con cui ha fotografato Nerina, la prostituta uccisa dalla mafia a casa sua, tra i suoi cari.
Palermo è il centro del suo cuore e continua per decenni a raccontarla e ancora oggi che la schiena le fa male e le gambe non reggono tanto, “vedo cose bellissime che nessuno racconta più”.
Inizia a fotografare professionalmente a 34 anni e per il mondo intorno a lei non era credibile, era donna. Arrivava prima degli altri sui luoghi delle stragi ma veniva tenuta ai margini, sempre qualche mano a coprire l’obiettivo. Ad aiutarla in quel periodo il capo della squadra mobile Boris Giuliano, che aveva capito che quella donna aveva una verità da raccontare e la faceva passare affinché la raccontasse. Sua, tra le tante, è la foto di Piersanti Mattarella, mentre la moglie e la figlia portano fuori dall’auto il suo corpo ormai esanime.
Dopo il 23 maggio del 1992 decide di fermarsi. Basta con i morti ammazzati. Basta con la mafia. Non riesce più a reggere quel senso di nausea che prova. Falcone è l’ultimo che vedrà ucciso da quel cancro che infesta la sua amata Sicilia. “Ho sempre creduto nella giustizia, non necessariamente quella legale. Io credo nella giustizia umana”.
Ora fotografa nudi femminili, di donne palermitane vere private di quella smania, ossessione, di essere un oggetto sessuale. “Le mie donne non sono sexy, ma belle, perché il corpo nudo è sempre bello a qualsiasi età”.
I suoi modelli non hanno confini, nella sua agenzia fotografica bazzicano Leonardo Sciascia e Josef Koudelka. Ma lei guarda anche oltre oceano all’opera di Diane Arbus, che ha sempre amato.
Il suo lavoro e il suo spirito viene riconosciuto universalmente. Wim Wenders la omaggia nel suo Palermo Shooting.
Dopo una vita trascorsa tra scatti fotografici e viaggi in giro per il mondo, torna sempre alla sua Palermo dove due anni fa ha inaugurato il Centro internazionale di fotografia. Ma le foto non sono tutta la sua vita. Di se stessa ha detto “Io sono una persona, sono una donna, un essere che soffre, che è stanco, a cui fa male la schiena e che ancora fa fotografie”.
Cinquanta suoi scatti resteranno in mostra al Castello Volante di Corigliano d’Otranto sino al 31 ottobre. Cinquanta scatti imperdibili, nonostante l’indolenza con la quale la mostra è stata allestita. Nonostante le scale ripide, le sale sporche e l’assoluta mancanza di una qualsiasi forma di attenzione per il visitatore. Nulla gli verrà dato per meglio conoscere e comprendere la Battaglia. Neanche una didascalia sotto quei cinquanta scatti che sono un pezzo della nostra storia.