Le luci bianche illuminano la costruzione opera dell’uomo invano padrone del mondo, sul cemento la polvere sospinta dal vento di scirocco.
Piedi si muovono, è il segno che vogliono ballare, ed eccoli seguire una musica consueta, tra gli spettatori si nota un’assenza, come un vuoto in un ricordo pieno, colmo. Non è una istantanea di questo tempo attuale, appartiene ad un passato, recente. Un’assenza, una mancanza, una voce che non saluta, una mano che non si agita.
Mentre le note si susseguono, il ritmo diviene incalzante, i piedi si incrociano, disegnano tracciati, nella sera in cui le ombre restano immobili come rapite da altre fonti luminose e un fuoco fatuo si intravede nella campagna circostante. È un segno anche questo, come le storie in un libro che riconosce l’inseparabilità tra il bene e il male, e la banalità che ne consegue in tutte le sue forme.
Se un bagliore nella notte brucia l’esposizione nelle istantanee si perdono positivi, fuori dall’obiettivo restano le dimenticanze, come pagine bianche in cui l’inchiostro è andato via schiarendosi di giorno in giorno, fino a scomparire.
Lo spettatore consueto ha lasciato il suo posto tra il pubblico, osserva da un’altra dimensione la proiezione di una realtà che è solo per pochi. Privilegiato, sorride fiero come un tempo.
Quando le luci si spengono e la musica tace, tutto torna come era. Finita la magia, il fuoco fatuo dissolto tra bagliori azzurri, un grillo intona un canto, un cane ulula alla luna, ricordi nella memoria di un tempo passato. Solo ieri.